VENEZIA – La Villa degli Autori ha ospitato l’incontro “Cambia canale”, organizzato dalle associazioni dell’audiovisivo 100autori, AGPCI, ANAC, ANICA, APT, ART, DOC/IT, PMI Cinema e Audiovisivo. Il fronte unito degli autori e dei produttori dell’industria creativa (del cinema, della televisione e del web) ha presentato una proposta comune per una tv che serva all’industria e alla creatività italiana. L’orizzonte è la consultazione annunciata dal Governo per il rinnovo della concessione in esclusiva del servizio pubblico radio-tv, che dovrebbe aprirsi il prossimo settembre. La proposta delle associazioni può essere sintetizzata in cinque punti essenziali:
1) Un numero di canali, anche generalisti, più ristretto.
2) La separazione societaria delle attività sovvenzionate con risorse fiscali da quelle sovvenzionate con pubblicità.
3) Una diversa gestione dei diritti, che liberi la creatività degli autori e favorisca la crescita dei produttori indipendenti. 4) La durata decennale della concessione.
5) La governance duale, con un consiglio di indirizzo e sorveglianza che rappresenti gli obiettivi definiti in Convenzione e che nomini il vertice della azienda.
Il primo presupposto è che occorre rovesciare la logica per cui è più importante il contenitore del prodotto. Il contenuto è sovrano. La sovrabbondante offerta di informazione, di cinema e di prodotti audiovisivi su tutte le piattaforme, rende meno necessari i canali pubblici nazionali e lineari. E le missioni del Servizio Pubblico si misurano, oltre che sui valori editoriali, sulla vitalità del sistema industriale che produce e che esporta nel mondo. A maggior ragione per l’Italia, che fonda sulla immagine gran parte della attrattività di tutti i suoi prodotti. Ne consegue che la Rai, se finora è stata giudicata per quello che metteva in onda, d’ora in poi sarà guardata anche per quello che mette in moto in termini di posti di lavoro generati ed esportazioni.
La situazione attuale dell’audiovisivo in Italia registra poco più di 40.000 addetti a tempo pieno su base annua e più o meno il doppio su base stagionale, con un fatturato di circa 10 mld. Un terzo meno dei francesi e la metà degli inglesi, i quali spendono anche meglio: per ogni milione di fatturato, abbiamo solo poco più di 4 addetti/anno contro i quasi 6 della Francia e gli oltre 7 dell’Inghilterra. Rispetto alle medie europee siamo sotto di circa 25.000 unità-annue a causa della dispersione delle risorse economiche su un eccessivo numero di reti generaliste o tematiche. In termini di esportazioni la situazione italiana è ancora peggiore. Ciascun paese europeo cerca di reagire allo squilibrio competitivo con l’industria audiovisiva d’oltreoceano con un mix di misure protettive, di incentivi e di interventi pubblici, i più rilevanti dei quali sono le risorse e gli obiettivi assegnati alle aziende incaricate di fare Servizio Pubblico. La Gran Bretagna da decenni ha assegnato alle sue due aziende pubbliche, e con grandi risultati, il ruolo di volano dell’industria nazionale; e anche Francia e Germania, operano nella medesima direzione. In questo quadro, la Rai non ha mai avuto l’effettivo mandato di agire come leva per la crescita del sistema industriale nazionale. Eppure le risorse fiscali finora assegnate alla Rai (oltre 1.700 milioni l’anno, tra tv e radio) rappresentano il principale intervento pubblico nei settori della cultura, della informazione e dell’intrattenimento. Con gli interventi strutturali proposti dalle associazioni, il Servizio Pubblico diventerebbe il punto di riferimento di un rapporto rifondato con produttori e autori, basato sulla pluralità delle linee editoriali e su nuovi modi di sfruttamento dei contenuti fra broadcaster, produttori e autori. L’interesse generale è che il Servizio Pubblico, finanziato dal canone o dalla pubblicità, non abbia meno risorse e sia anzi libero di mostrarsi capace di incrementarle.
Al fine di strutturare e rendere incisiva la interlocuzione con la iniziativa del governo, saranno organizzati seminari aperti su: la valorizzazione dei “diritti” nell’era della loro moltiplicazione; il commissioning delle aziende pubbliche e la produzione indipendente; la distribuzione on line della produzione nazionale.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre