LOCARNO. Le attività culturali in carcere sono sempre state un oggetto di grandi potenzialità cinematografiche, e questo vale per il lontano Ripresi che Mimmo Calopresti realizzò nel 1987 con i detenuti del carcere torinese delle Vallette ma anche per il premiatissimo Cesare deve morire, con il quale Paolo e Vittorio Taviani hanno vinto il festival di Berlino proponendo un film in cui Shakespeare era tradotto in siciliano e in napoletano.
Giovanni Cioni, un regista cui piace molto raccontare gli ultimi cercando in essi la sacralità dei grandi classici (come quando proponeva in Per Ulisse il mito dell’eroe greco e del suo viaggio tra coloro che frequentano un centro di socializzazione fiorentino), ha deciso di proporre un accostamento molto ardito e molto stimolante. In Non è sogno, presentato Fuori Concorso al Festival di Locarno, coniuga insieme Pedro Calderon de la Barca e Pier Paolo Pasolini. I detenuti propongono infatti interpretazioni da La vita è sogno e Che cosa sono le nuvole e contemporaneamente raccontano la propria vita, i propri sogni, le speranze che avevano e quelle che hanno ancora. I volti bellissimi di Totò e di Ninetto Davoli, scelti da Pasolini proprio per la loro umanità terrena che non rinuncia al sogno e lo sa coniugare con le difficoltà della vita, fanno da contrappunto sia alle loro prove sia ai racconti che gli stessi detenuti propongono. È come se ciascuno di loro svelasse un po’ di sé: c’è chi lo fa con ironia e chi non riesce a trattenere le lacrime quando pensa a una figlia lontana che forse non vedrà mai e che dovrà crescere senza di lui.
Ma il centro del film non è la richiesta di aiuto. Non è sogno è veramente e volutamente concentrato sulla vita, e su quanto la vita può essere modificata dall’arte. Anche i detenuti che all’inizio sembrano essere più scettici si fanno via via prendere dalla magia dei testi che devono recitare. Non c’è mai un intervento del regista per correggerli, instradarli, guidarli. È come se fossero loro stessi a trovare dentro le energie e le capacità per confrontarsi con quello che testi apparentemente aulici e lontani da noi sanno trasmettere. E proprio da questa scelta nasce la loro disponibilità a mettersi a nudo, a dare spazio ai pensieri più profondi.
Giovanni Cioni da questo punto di vista ha le idee molto chiare: “Non ho mai voluto fare un film sul carcere. Ce ne sono già tanti; alla base del mio progetto c’è il desiderio di parlare delle persone, persone che si interrogano sulla vita e spingono anche chi vede il film a farlo. L’idea è nata per caso, da un laboratorio che mi era stato chiesto di fare per i detenuti del carcere di Capanne a Perugia che è durato due mesi, ma da quel momento il film si è sviluppato quasi da sé. È stato il completamento necessario al lavoro svolto in carcere. Mi interessava mostrare come il tema del sogno permetta di parlare della realtà in un altro modo e, nel caso dei detenuti-attori, sia anche una maniera per rivendicare la loro esistenza”.
Non è sogno uscirà in sala nell’autunno del 2019 e sarà distribuito da Slingshot Films.
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