John Edward Williams è stato un monito. Ha scritto pochissimo, ma molto bene. Solo quattro romanzi in 72 anni di vita. Uno di questi è Stoner (1965) che decenni dopo è stato riscoperto e amato dai lettori di tutto il mondo. L’ultimo è stato Augustus, il più apprezzato in vita (vinse il National Book Award). Prima di questi, e dopo Nulla, solo la notte, nel 1960, fu pubblicato Butcher’s Crossing, un western che rimase quasi sommerso, ma che come gli altri è straordinario (c’è persino chi avanza l’ipotesi che possa essere migliore di Stoner).
Da questa storia che è un po’ romanzo di formazione e un po’ d’avventura, che è l’affresco delle radici di una mitologia (l’epopea molto umana e polverosa dei cacciatori di bufali negli Stati Uniti), Gabe Polsky ha diretto l’omonimo film, presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public.
Racconta la vicenda del giovane Will (Fred Hechinger), un istruito WASP di Boston, che lascia Harvard alla ricerca di una connessione profonda con la propria terra – gli interi Stati Uniti – che il freddo mondo accademico non riesce a dargli. Arriva a Butcher’s Crossing e conosce il cacciatore di bisonti Miller (un Nicolas Cage incredibilmente al suo primo western in carriera), che gli parla di un posto unico e incontaminato dove i bisonti continuano a pascolare come una volta. Nel 1874, anno in cui è ambientata la storia, la mattanza in corso aveva quasi fatto scomparire dalle vallate quello che i nativi consideravano un animale sacro. Will finanzia la battuta di caccia, alla quale parteciperanno anche l’ubriacone redento ma non troppo Charley (Xander Berkeley) e lo scuoiatore Fred (Jeremy Bobb), un attaccabrighe in costante polemica col gruppo.
Il romanzo di Williams è una miscela di psicologia e rigorosa ricostruzione storica, uno scandaglio di un incontro di personalità molto diverse tra loro e tutte a un passo dalla follia – tranne, forse, il puro Will, quantomeno prima di intraprendere il viaggio. È anche la rappresentazione di una natura herzogiana, meravigliosa e amorale, soverchiante. Il film di Polsky non riesce a essere tutte queste cose insieme, quantomeno non sempre allo stesso momento, e raramente raggiungendo la perfezione di Williams.
Butcher’s crossing è un film molto “di regia” e di fotografia, con delle immagini che riempiono gli occhi di paesaggi enormi e maestosi a cui il western ci ha abituati. Ci sono almeno un paio di guizzi di montaggio che impreziosiscono lo snodo e che lasciano intravedere una via che forse Polsky, osando di più, avrebbe potuto perseguire per intero e raggiungere un risultato ancora migliore. È anche una pellicola che racchiude un’istanza chiara ed esplicitata nel finale. Sembra dirci che ciò che quei cacciatori hanno fatto, e cioè portare alla quasi estinzione dei bufali, ora lo stiamo facendo noi, ma su noi stessi.
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