Parigi. Théâtre des Amandieurs. Fine Anni ’80.
Una Stella (Nadia Tereszkiewicz) dà in escandescenza, si strappa l’abito sul petto, mostra il generoso seno, grida rabbiosa. Succede sul palco del teatro di Nanterre, sede della scuola creata da Patrice Chéreau (Louis Garrel – leggi articolo) e Pierre Romans, e lei è una ventenne che sostiene un provino dinnanzi alla commissione – tra cui si riconosce Marisa Borini, la vera mamma della regista, Valeria Bruni Tedeschi -, ribollendo di speranza per l’ammissione. Per lei, come per Victor, Adéle, Etienne, Camille, Frank… Chéreau è “un’ispirazione” e il desiderio di entrare in quel microcosmo vibra nelle menti e sotto le vene di ciascuno di loro, che cercano un destino, assecondano un ego, fanno fiorire un talento.
Les Amandiers è il sesto film da regista della Bruni Tedeschi, e dopo Cannes, arriva in sala il 1 dicembre con Lucky Red. È un film che si misura col mettere sul grande schermo il teatro, oltrepassando la quarta parete con la trasmissione delle sensazioni epidermiche e fisiche dei protagonisti. C’è dello “sperimentale” in questa opera, come c’è una suggestiva grana della fotografia – che potrebbe essere pellicola, con dop Julien Poupard “un incontro ispirante” per l’autrice -, tutto a restituire sia l’essenza del teatro, sia quella del tempo.
“Sono felice che gli attori del film lo vedano per la prima volta in una sala mitica – il Grand Auditorium Louis Lumière del Palais del Cinema di Cannes -, infatti nessuno di loro l’ha ancora visto. È una cosa a cui non posso credere, l’essere stata scelta in Concorso: ho pensato che venni qui proprio con Chéreau, per Hôtel de France (1987) – sezione Un certain regard, esattamente quando avevamo l’età dei protagonisti: anche quel film era tratto da Platonov (come poi lo spettacolo messo in scena nel film attuale, ndr)”, racconta la regista.
Stella si fa specchio della Valeria attrice, della sua reale esperienza nella scuola di Chéreau, con un’interpretazione di Nadia Tereszkiewicz che a più riprese fa domandare se quella in scena sia lei o la Bruni Tedeschi, seppur sullo schermo reciti una 26enne, ma la cui espressività oculare, la mimica leggiadra o nervosa, la tenera malinconia dello sguardo, rendono le due come “gemelle”, verosimiglianza che permette ulteriore immersione biografica e, per il pubblico, empatia e curiosità per un personaggio noto, che qui svela e rivela qualcosa di intimo del suo romanzo di formazione. “Ho pensato per qualche ora di interpretare Stella, l’ho detto a Louis che ha commentato: ‘Harold e Maude (1971, lei ride, ndr)’, così mi ha proprio falciata; ma ho prestato i miei vestiti del tempo per il film, e la costumista è Caroline De Vivaise, amica di Chéreau e costumista di quasi tutte le cose realizzate da lui”, continua Valeria Bruni Tedeschi.
La vita dell’attore, che – dalla Scuola che racconta, in poi – Valeria Bruni Tedeschi ha scelto come esistenza professionale, “è un mestiere destabilizzante, in cui, per continuare, devi trovare una tua indipendenza: ci sono momenti di grande vuoto. Non ho paura di invecchiare ma già da bambina sentivo il tempo che passava, come alla fine dell’estate, per cui tornavo in città ma continuavo a mettere il costume: fare l’attore è un modo per fare qualcosa del tempo che passa”.
Giri di vite ma anche drammi per tutti loro de Les Amandiers, tuffati a massima velocità nelle loro esistenze – come è fisiologico, bello e affascinante che sia a quell’età: l’ammissione alla Scuola innesta le esistenze individuali con quella collettiva del teatro; l’universo del palco si liquefa con quello personale, sono canali comunicanti, in bilico tra arte e esistenza. Il teatro si fa cosmo dei sogni di tutti ma per pochi è lo scrigno in cui si esaudiscono.
Quella febbre di vita e quella fame di teatro “l’avevamo tutti noi allievi. Loro – Chéreau, Romans, la commissione -secondo me hanno proprio scelto delle personalità con questa febbre, e scelto anche basandosi su delle chimiche tra le persone del gruppo. Facendo il casting abbiano cercato questa direzione”, continua Bruni Tedeschi, per cui “La giovinezza ha sempre gli slanci del vivere e dell’amare, ma penso adesso i giovani siano più impauriti e cerchino forme di stabilizzazione. C’era vitalità in noi, nella Scuola, c’era un’atmosfera molto elettrica – passavano da lì da Piccoli alla Deneuve – e anche Chéreau e Romans erano giovani, avevano 38 anni, solo a noi parevano vecchi, quindi tutti… raccontano la giovinezza”.
Da Parigi alla Grande Mela, gli ammessi alla Scuola francese approdano a New York, per un laboratorio al mitico Actors Studio, per poi tornare nel loro, lì sempre più sospesi tra sacro fuoco del palco e il serpeggiare dell’inquietudine anagrafica, così come quello di inaspettate gravidanze, o dell’AIDS o anche della morte.
Il Théâtre des Amandieurs è un mondo, in cui gli allievi rendono promiscue le loro vite, nel frattempo che ne vivono altre, quelle dei personaggi del Platonov di Čechov, che stanno preparando per mettere in scena: il teatro si fa anche famiglia, come quella che sembra essere assente per Stella, “principessa” in una dimora alto borghese, apparentemente abitata solo dal paterno maggiordomo e spesso riempita, infatti, dalla presenza bramata dei compagni della scuola di recitazione.
Se “il padre artistico” Patrice Chéreau è raccontato spesso come persona dal carattere quantomeno forte, Bruni Tedeschi dice che: “era esigente, a volte brusco – un suo modo di risvegliarti -, però non era violento: la violenza ci chiedeva di raccontarla perché la vedeva nella vita. Forse era apparentemente un po’ cattivo, ma mai violento con noi”.
Ma, se la vita è un palco sul quale a volte si recita, non è sempre un teatro in cui rifugiarsi, e così – altrettanto in bilico tra realtà e messa in scena – Stella, infine, torna a New York, e la sua esistenza continua – o ricomincia, o comincia – sulle parole e sulla musica di Guarda che luna, non una colonna sonora quella di Buscaglione, ma un manifesto di quella sequenza di vita: “Guarda che luna, guarda che mare. Da questa notte senza te dovrò restare. Folle d’amore vorrei morire. Mentre la luna di lassù mi sta a guardare. Resta soltanto tutto il rimpianto. Perché ho peccato nel desiderarti tanto. Ora son solo a ricordare e vorrei poterti dire. Guarda che luna, guarda che mare!”.
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