VENEZIA – New York, una notte, un hotel di lusso, una signora di mezza età, nonché Procuratore Distrettuale (Amy Ryan), e un cadavere, faccia a terra, molto giovane e in biancheria intima, esanime tra i cocci di vetro sul pavimento di quella stanza, presa alla spicciolata e sotto falso nome.
“…come hai avuto questo numero?”, chiede una voce maschile dall’altra parte della cornetta, per poi dare alla signora alcune istruzioni di comportamento, nell’attesa che lui arrivi e “andrà tutto bene”. Lui è Jack (George Clooney), faccendiere professionista, assunto per far volatilizzare le tracce del crimine, per far sparire quel corpo, che il Procuratore spergiura non sia uno gigolò.
Lui, lei, l’altro e… l’altro ancora, Nick (Brad Pitt), omologo di Jack: eccoli, in quella notte, in quella stanza, in mezzo a quel crimine; non si conoscono, non si spiegano perché entrambi siano lì, la frizione e il darsela a intendere tra i due naturalmente funziona, è prassi rodata tra Pitt e Clooney – anche produttori – che la loro parte di spettacolo la fanno. “Frank Costello faccia d’angelo, Cronaca di un assassinio, Ghost Dog – Il codice del samurai, Collateral… Adoro i film su professionisti solitari dediti al loro mestiere e sono sempre stato curioso di sapere cosa succederebbe se due tipi del genere fossero costretti a lavorare insieme” dice Jon Watts, regista di Wolfs – Lupi solitari, Fuori Concorso a Venezia81.
“Penso che si giochi allo stesso gioco: noi cerchiamo una storia, che sia davanti o dietro la macchina da presa, o misto. Cerchiamo storie dei nostri tempi, universali, che tocchino i cuori. È il potere del cinema: cerchiamo di trovare modi per affrontare i nostri tempi e capire dove vogliamo essere”, spiega Pitt rispetto al loro ruolo versatile nel cinema e anche rispetto all’essere appartenuti a una generazione iconica. Per Clooney: “è come giocare con pitture diverse: uno dei motivi per cui produciamo, e io scrivo anche, è per continuare a lavorare nel settore, al di là dell’essere un attore, ma continuando a fare la cosa che mi diverte”.
Tornando alla storia di Wolfs, per Brad Pitt “i film degli Anni ’70 per noi sono i migliori, ma non era un’intenzione da replicare: credo più siano nel nostro dna, perché ci siamo cresciuti, sono quelli per cui abbiamo voluto entrare al cinema”, e comunque, per questo film “John si è presentato con un’idea che sembrava divertente, ma doveva esserci un motivo per metterci insieme ancora su un progetto: invecchiando mi piace lavorare e passare il tempo con persone che mi piacciono, così eccoci qui. Però, quando abbiamo letto la sceneggiatura non ci era stato detto quale fosse la nostra parte!”.
Il film gioca su sfumature che si correlano: thriller, demenziale, commedia, e tutto questo lo restituisce un intrattenimento pop ma non sofisticato nella sua essenza più nera, invece affascinante.
Comunque, presto il personaggio di Clooney si rende conto che in quella stanza, in cui sono già in troppi, c’è anche un unicorno, di peluche, che fa stranamente capolino da dietro un mobile, appeso a uno zainetto che non sembra appartenere a nessuno.
“Nel film c’è un ritmo di sovrapposizione delle voci, ma al tempo stesso senza impedire la chiarezza: il ritmo è molto bello, con un andirivieni di battute” e, se proprio deve ricordare qualcuno il suo personaggio, “forse più Harvey Kaitel in Pulp Fiction”, commenta Clooney.
L’operazione procede, Jack imbusta il corpo penzoloni… e lo chiude nel bagagliaio della sua macchina: eppure, morire non è dormire, et voilà il colpo di scena. Dopo una sequenza rocambolesca finalmente sono a sei occhi, questi due lupi insofferenti e Kid (Austin Abrams): messo alle strette dai due professionisti e alla prova da un notevole monologo.
C’entra la droga, c’entra un cerca persone, c’entra un certo Dimitri, boss di un gruppo criminale albanese, e il Procuratore che fine ha fatto? Intanto, i due lupi, continuano a essere costretti a procedere come una coppia.
Il film esce su Apple TV+ il 27 settembre e, proprio rispetto alla distribuzione su piattaforma, Pitt commenta che “siamo sempre molto romantici verso il grande schermo ma con gli streamer raggiungiamo più persone: è un equilibrio molto delicato, la storia si scriverà da sola”. Un discorso che commenta anche George Clooney per cui “volevamo una distribuzione globale”, con l’auspicio che possa essere distribuito anche in “un centinaio di cinema” (negli USA). “La verità è che, quando eravamo giovani, esisteva lo ‘studio system’: c’era un senso di protezione e tutela, che i giovani attori adesso non hanno più, perché c’è democratizzazione dell’industria cinematografica. Quando ero un giovane attore c’erano 64 emittenti e adesso ce ne sono 700: c’è molto lavoro ma come trovare lavoro? L’industria ha bisogno e beneficia dello streaming: siamo in una situazione di transizione, stiamo ancora cercando di capire esattamente dove siamo, ci sarà un assestamento ma ci stiamo arrivando”.
Infine, Clooney, storico finanziatore del partito democratico, sollecitato a un commento sulla sua lettera pubblicata sul “New York Times”, con la richiesta al potus Joe Biden di dimettersi, commenta: “la persona che dobbiamo ringraziare è il Presidente, che ha fatto una mossa coraggiosa: è stato un atto per niente egoista, perché è difficile mollare il potere. Dobbiamo ringraziare lui. Sono molto orgoglioso dello stato attuale, siamo emozionati per il futuro”.
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