C’è un momento, nel cuore frenetico di un ristorante londinese, in cui l’acciaio brilla più delle stelle Michelin, il sudore pesa più del sale e l’aria si fa tagliente come una lama affilata. È lì che Boiling Point trova la sua temperatura ideale: quella in cui si sciolgono le maschere, si sfaldano i legami, si brucia ogni difesa.
Philip Barantini ora salito sulla ribalta mediatica come produttore e regista della serie Adolescence, il più discusso e visto dei titoli recenti, in effetti aveva già dato prova di rigore narrativo e sensibilità viscerale con questo film.
Ex attore e cuoco per necessità nella sua giovinezza, Barantini ha mescolato entrambi i mondi in una formula esplosiva: un’opera girata interamente in un unico piano sequenza di 92 minuti. Nessun taglio. Nessuna rete di sicurezza. Solo la verità che pulsa sotto la superficie.
E il suo attore/mattatore è lo stesso Stephen Graham che ha concepito Adolescence e poi dato vita al padre frantumato del giovane protagonista della serie britannica del momento. Qui interpreta Andy, uno chef di talento e dagli equilibri fragili, immerso in un turno che minaccia di travolgerlo da ogni lato: pressioni economiche, tensioni interne, clienti ingestibili e soprattutto, se stesso. La sua interpretazione è un corpo in ebollizione costante, un misto di rabbia, stanchezza, malinconia e lucidità che non concede mai tregua. Il confronto con The Virtues di Shane Meadows è inevitabile, ma qui Graham è ancora più esposto: senza filtri, senza tempo per riprendere fiato.
Cinema e cucina sono, in questo film, due facce della stessa fiamma. La cucina come spazio teatrale, ma senza palco. La gerarchia militare, il ritmo serrato, l’arte che deve convivere con la sopravvivenza. Ogni piatto è una scelta, ogni errore una ferita. Il regista non cerca la bellezza estetica del food, come spesso accade: niente ralenti su impiattamenti, niente colori saturi da programma TV. Qui si lavora, si grida, si sbaglia. Si soffre.
Se Chef di Jon Favreau è un racconto di rinascita attraverso il cibo, The Menu una satira cinica, Ratatouille una fiaba e Burnt una parabola di redenzione, Boiling Point è pura verità: niente romanticismo, niente rivalsa. Solo l’altissima tensione di una realtà troppo spesso idealizzata. In questo senso, è più vicino all’intensità brutale della serie The Bear che a qualsiasi altro esempio recente.
Il film nasce da un cortometraggio del 2019, sempre con Graham protagonista e sempre diretto da Barantini. L’idea di trasformarlo in lungometraggio è arrivata durante il lockdown: girare tutto in un’unica lunga ripresa avrebbe abbattuto costi, aumentato il realismo e trasformato la limitazione in stile. Le riprese sono durate quattro giorni, con quattro ciak completi. Quello che vediamo nel film è il quarto e ultimo tentativo: una vera impresa tecnica e attoriale, costruita con la stessa attenzione maniacale al tempo e alla coordinazione che si chiede in una vera brigata di cucina.
Barantini ha insistito per utilizzare solo veri cuochi come comparse e consulenti in scena. I piatti serviti nel film sono stati cucinati davvero, in tempo reale. Non c’era spazio per la finzione: ogni gesto doveva essere autentico, ogni movimento credibile, ogni piatto impiattato davvero.
Vinette Robinson, nei panni della sous-chef Carly, è un altro punto fermo del film. Lo spettatore avverte in lei una tensione che cresce a ogni minuto, una lealtà che si consuma a fuoco lento. Tutto il cast è perfettamente integrato in questo caos coreografato con millimetrica precisione. Nessuno recita: tutti esistono.
La macchina da presa – una Arri Alexa Mini montata su steadycam – segue i personaggi in uno spazio chiuso e infuocato. Non solo per tecnica, ma per necessità narrativa: se il protagonista non può fermarsi, nemmeno lo spettatore può farlo. Non c’è montaggio che attenui la tensione, non c’è stacco che protegga dall’impatto.
Per qualcuno Boiling Point è “una commedia divina giocata nella cucina dell’inferno”. Ma più che l’inferno, qui si sente la fatica quotidiana del mestiere, la fragilità dei rapporti umani sotto pressione, la linea sottile che separa la passione dalla rovina.
Per chi ama il cinema che non fa sconti, Boiling Point è un’esperienza da non perdere. Per chi vive la cucina come una sfida quotidiana, è uno specchio. E per chi ha scoperto il talento di Barantini in Adolescence, è la conferma che dietro la regia c’è una mano solida, precisa, necessaria. Un regista che conosce il sapore dell’autenticità.
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