MILANO – “Se provi a trovare un senso a questo film, sentirai di stare perdendo il senno”, così Cate Blanchett – nell’anteprima assoluta a Cannes 2024, Fuori Concorso – commentava Rumours, noir satirico, commedia nera apocalittica, sul labile confine tra il geniale e il demenziale, che approda da noi, primizia esclusiva del Noir in Festival.
Un G7 – con Blanchett primo ministro tedesco, Hilda Ortmann – accanto a Rolando Ravello, alias Antonio Lamorte, omologo per il nostro Paese, e con loro Charles Dance (presidente USA), Roy Dupuis (presidente Canada), Denis Ménochet (Francia), Nikki Amuka-Bird (Regno Unito), Takehiro Hira (Giappone), Zlatko Burić, presidente della Commissione Europea e Alicia Vikander, segretaria generale del medesimo organo.
Se la vicenda comincia con la ritualità retorica della fotografia corale a Dankerode, e prosegue passeggiando in un idilliaco giardino, lussuoso nido riservato per il vertice di questi Grandi del mondo, riuniti per stilare un documento ufficiale per cambiare le sorti del globo, su cambiamento climatico e disuguaglianza sistemica, dopo poco i nodi vengono al pettine, e non tanto per le reciproche posizioni, ma per la comune circostanza che li fa ritrovare stranamente, completamente soli, isolati: cosa sta accadendo? Dov’è finita la cortina della sicurezza? Dove si sono rarefatte le persone di servizio? Perché quel raffinato orto incantato, dalle rilassanti tinte pastello, assume il colore buio, impenetrabile, nebbioso e inquietante della notte?
Un primo indizio sembra facile da leggere, quantomeno non casuale: nella piena luce del giorno, la presidente Blanchett porta in visita i suoi ospiti nel parco dell’evento, incappando – non per caso – in una fossa aperta, dentro cui mostra con un certo orgoglio “un corpo della palude”, così definisce una sorta di mummia, che subito viene a galla si tratti di persone in passato vittime a causa della pratica del potere. Un’assonanza famigliare e sinistra.
Rumours – diretto a sei mani, da Guy Maddin, Evan Johnson e Galen Johnson – per stessa ammissione degli autori è stato ispirato dalla musica, in particolare dall’album dei FlatwoodMac: “un disco notoriamente molto creativo, in cui tutti andavano a letto tra loro, quindi per noi aveva senso”, hanno spiegato gli autori.
Se nella raccolta musicale di riferimento è esplicita una ragnatela di rapporti intimi, nel film certamente è accennata una tensione erotica, lieve, esplicita ma discreta che, tra spirito “sportivo” femminile e melodrammatico romanticismo maschile – infatti è spassoso il sovvertimento del luogo comune – chiama in causa Blanchett, con la presidente britannica e il collega canadese.
Nel trascorre della vicenda, tra qualche sequenza spiritosamente licenziosa e l’incombere di un suono prossimo quanto animale – un orso? Una fiera? -, Hilda, cercando di tenere le fila della loro missione globale, confessa a Nikki Amuka-Bird di essere stata anche attrice in passato, un gioco non tanto riferito alla verità della vita, quanto più al sarcasmo per cui un grande politico spesso sia un grande attore, e qui si aprirebbe una disquisizione sulla verità e sulla messa in scena della stessa, soprattutto nella vita reale di tutti noi comuni mortali, ma invece – per il film – l’informazione sembra più finalizzata a cercare di usare l’immaginazione attoriale per la concretizzazione di tematiche quali intelligenza interraziale e dimensione politica.
Il bosco notturno comincia a farsi terreno di gioco insidioso, il presidente francese inciampa e s’infanga nella suddetta buca con la mummia, per poi dichiarare di avere conseguenze fisiche: “mi si sta sciogliendo una gamba”; se tutti sono isolati da qualsiasi contatto telefonico e della Rete, e Blanchett non si spiega come sia possibile che nessun elicottero della sicurezza stia sorvolando i cieli sopra le loro teste, Lamorte dichiara di non avere con sé il portatile, dettaglio curioso, mentre il canadese Maxime si ferisce stringendo troppo un bicchiere di vetro e così il sangue gli riga una mano.
È un micro universo surreale, tra il geniale e il demenziale appunto, queste sono le impressioni che lascia la storia man mano che procede, nel buio boschivo feso però dall’uso di “macchie di colore fluo”, come la giacca indossata da Blanchett, come se alla cromìa fosse affidato un ulteriore livello psichedelico e un ulteriore senso dell’assurdo.
È quando però la scomparsa inspiegabile della Segretaria della Commissione Europea, Alicia Vikander, si rende palese, che entra in scena il personaggio più ilare e simbolico, un cervello dalle dimensioni elefantiache, lì appoggiato tra le frasche scure di questa notte distopica: l’oggetto – simbolico naturalmente – si fa megafono di ulteriore inquietudine, accompagnato dall’improvviso risveglio del cellulare del canadese, che riceve un messaggio, firmato “Astrid”, 7 anni, che chiede di essere aiutata: questa “regina della notte” è davvero una bambina in difficoltà o un chatbot, come sospetta la presidente tedesca? Dunque, tutta la situazione è gestita da un’Intelligenza Artificiale o è solo una suggestione?
Tra una carriola abbandonata tra gli alberi, utile a far da carrozzella, la richiesta del Potus di essere abbandonato lì nella selva, infine il G7 di queste “giovani marmotte” del potere mondiale riesce a irrompere nella sede interna del vertice, nella casa del parco, e lì – tra una shopper marchiata a tema e “piccoli gadget” dentro contenuti – s’avviano all’epilogo della loro missione politica: come ciascun super eroe che si rispetti, anche loro – il canadese in primis – indossano un mantello, nella sostanza coperte termiche che erano parte dei gingilli nella borsetta d’ordinanza, e – affacciandosi a un balcone che guarda sull’infinito, un panorama privo di umanità e pieno di una luce caldissima – proclamano la loro dichiarazione, la cui sintesi è: “meglio bruciare che spegnersi”, parole che accompagnano lo sguardo verso la fine dell’umanità o l’alba dell’avvenire?
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