BILANCIO PREVENTIVO


Scusate un attimo: e se fosse quello italiano il cinema più vitale, ricco e bello del mondo?”. E’ la domanda che Aldo Fittante pone sul primo numero di gennaio dei settimanale “Film-TV”. Fittante parla del risorto interesse della stampa europea per il nostro cinema (ma su questo aspetto andrei cauto); della risorta popolarità dei nostri attori in patria e all’estero, dove guadagnano spesso la foto di copertina; per non parlare dei nostri tecnici, contesi dagli studi di tutto il mondo. Ma si dilunga soprattutto sui film in lavorazione e pronti per l’uscita.
Si tratta, come avrete capito, di un bilancio preventivo, quindi soggetto a verifica. E siccome il cinema, fino a prova contraria, è un’industria di prototipi, potrebbe essere smentito dai fatti. Cosa concludere: che si tratta di un, magari involontario, soffietto pubblicitario? Non credo affatto che questo fosse il suo intento. Anch’io, per esperienza personale, leggendo i copioni giunti sul tavolo della commissione consultiva, di cui ho fatto parte per due anni, sono rimasto stupito dalla varietà di tante proposte.
La visione globale è quella di un cinema che ha rotto il rapporto con la sua illustre tradizione, che lo voleva specchio drammatico del mondo in cui viviamo, oppure compiaciuto fustigatore dei vizi nazionali. Che questo cinema stenti a trovare immediati consensi sia in Italia e, a maggiore ragione, fuori dei nostri confini, è abbastanza ovvio. Il pubblico, per principio, è il più restio ad accettare le novità, specie se, come in questo caso ha amato le immagini dell’Italia che il nostro cinema, nel bene e nel male, forniva. D’altra parte non si può tornare indietro, piangere l’eden perduto. Oltretutto, che la tradizione fosse ormai deperita, era noto da tempo; perlomeno da vent’anni, da quando cioè nell’82 Paolo Bertetto se ne uscì col pamphlet “Il più brutto del mondo: il cinema italiano oggi”, edito da Bompiani.
A suo tempo il pamphlet fu dai più liquidato come una pura provocazione. Ma, col senno dì poi, stando agli anni neri vissuti subito dopo dal nostro cinema, quando pareva avesse rinunciato a ogni ambizione, per uniformarsi alla piattezza televisiva, l’apocalittico quadro assunse un significato divinatorio.
Intanto le tre prime uscite del 2003, Ma che colpa abbiamo noi di Carlo Verdone, Prendimi l’anima di Roberto Faenza e Il cuore altrove di Pupi Avati, fanno ben sperare, poiché si collocano ai migliori livelli dei loro autori. Tuttavia nei vari convegni che si tengono ognidove, si parte sempre dalla premessa che il cinema italiano sia permanentemente in crisi. Siamo di fronte a una situazione schizofrenica? Ma questo è un altro discorso. Meglio affrontarlo a parte.

30 Gennaio 2003

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