Per il cinema italiano il festival di Berlino non è finito bene, il Mercato di Berlino è stato quasi un trionfo. Sembrano improvvisamente lontani i giorni in cui il nostro cinema veniva esaltato dalle giurie e dalla critica ma non usciva dal ghetto dorato dei premi. Poco stupore: alla prossima volta accadrà magari il contrario, ma una riflessione è quasi d’obbligo. Pensiamo intanto al fatto che, quasi in modo speculare alla cronaca di questi giorni, il palmarès berlinese riflette la sintonia/distonia tra America ed Europa: Orso d’oro a un film inglese che capta la volontà di tolleranza e pace del cuore d’Europa; premio Alfred Bauer al miglior film europeo per il tedesco Good Bye, Lenin! sulla generazione “pacificata” del dopo-Muro; migliore regia a un francese che parla di sofferenza, paura, speranza. E sull’altro fronte, in scia con gli Oscar imminenti, lode a un cinema d’attori, di confezione, che cerca le sue radici europee (senza trovarle).
In mezzo Io non ho paura di Gabriele Salvatores che si schiaccia come il vaso di coccio all’ultima tornata di discussione della giuria, ma conquista la platea, si fa applaudire (finalmente) dalla critica italiana, fa innamorare l’industria americana fino a diventare il vero “caso” di mercato con cinque majors che si disputano lo stesso film con contratti milionari (in dollari). Quando una ventina di film si contendono pochi riconoscimenti, ci sta da perdere e ci sta da non mettere d’accordo tutti. Ma se un film usa della vetrina internazionale di Berlino per fare scoprire se stesso e un’intera cinematografia, aprendola al mercato e alla curiosità, allora si può parlare di successo assoluto. Di questo, da oggi, dovremo dire grazie a Gabriele Salvatores e ai suoi produttori, ricordando che il verdetto berlinese restituisce – a torto o a ragione – proprio ad Europa e America una centralità del “nuovo” che fino a ieri abitava in altre terre, in altre culture. E’ solo un passaggio o una novità importante, su cui riflettere?
Ma la frenesia dell’ultimo giorno non deve mettere in un cono d’ombra il resto d’Italia che si è affacciato al successo in quest’occasione. Francesco Patierno (opera prima) è una realtà inattesa del nostro cinema e mostra una sicurezza del tocco, una forza dello stile che in pochi avevano pronosticato in Pater familias; Marco Filiberti (opera prima) ha ottenuto un franco successo che va oltre la trasgressione quasi fassbinderiana del suo Poco più di un anno fa; Ursula Ferrara con il corto La partita ha messo in luce un talento purissimo nel regno difficile ed elitario dell’animazione dipinta a mano; Libero De Rienzo non si è limitato a godere della fresca fama di talento emergente come attore “Shooting Star” ma ha proposto un’idea dell’attore/autore che è tanto forte quanto rara e non solo nel nostro piccolo star system. Infine i nostri operatori si sono lanciati alla conquista di nuovi mercati, quello russo in primis, invertendo una tendenza vittimistica degli ultimi anni.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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