Al festival Rendez-Vous, vetrina del cinema francese, oggi c’è Bertrand Taverier, in sala oltralpe (in Italia non c’è ancora distribuzione, ma si spera che arrivi presto) con Quai d’Orsay, opera di satira travolgente tratta da un fumetto di Christophe Blain e Abel Lanzac, oltre centomila copie vendute, pubblicata in Italia da Coconino, che ha sedotto al primo colpo il regista 72enne. Il protagonista è Alexandre Taillard de Vorms, allegorico ministro degli Esteri francese, ispirato chiaramente alla figura di Dominique de Villepin, di cui Lanzac è stato collaboratore.
Come ha lavorato nella trasposizione da graphic novel a film?
“È un fumetto strepitoso. Ho comprato i diritti il giorno dopo averlo letto, quindi la trasposizione non mi è venuta poi così difficile. Io ho detto agli autori che volevo trasporre il Volume 1, dato che il secondo ancora non esisteva. Quello che ho aggiunto è stato il discorso all’Onu del febbraio 2003 con cui la Francia rifiutò partecipare alla guerra in Iraq. Poi sarebbe stato aggiunto nel secondo volume ma nel primo non c’era. E ho cambiato il personaggio della fidanzata del protagonista – e in generale un po’ tutti i personaggi femminili – volevo che avesse un mestiere, che fosse vivace e divertente e in sostanza che fosse la perfetta controparte del personaggio maschile. Nel fumetto non faceva che lamentarsi del governo, nel film è attiva, segue una famiglia di ‘sans papier’. Abbiamo lavorato alle aggiunte con gli autori. Abbiamo esteso scene che lì erano risolte con piccoli passaggi.
Un prodotto che passa da un media all’altro. In America i cinecomic sono comuni. In Europa molto meno…
Ma non è mica vero. Ci sono decine di film francesi tratti dai fumetti, pensi a La vie d’Adèle che ha vinto la Palma d’oro a Cannes. Per l’Italia mi ricordo il Diabolik di Mario Bava. Non è poi così difficile, l’importante è che non si pensi al fumetto come a uno story-board. Non va copiato pari pari ma bisogna trovare delle soluzioni diverse che rendano omaggio alla forza della fonte. I disegni di Blain sono veramente potenti e io mi sono sforzato di trovargli delle equivalenze di messa in scena. Per esempio ho eliminato tutte le fasi di spostamento del Ministro. Un attimo prima è in cima al palazzo, e un attimo dopo ai piani bassi. E’ eccitante per un regista.
Il tema del potere è piuttosto sentito dalle sue parti…
Sì ma questo non è un film sul potere. Non solo, almeno. E’ un film su come si fa politica. E la si fa nel caos e nella pazzia, specie quando abbiamo a che fare con ministri mitomani e deliranti. Con una visione, per carità, intelligente e chiara, ma un comportamento da pazzi furiosi. La visione di Taillard non cambia mai: non ci sono armi in Medio Oriente e non è giusto fare guerra. Gli americani si sbagliano e bisogna passare per l’Onu. Quello che cambia è la sua idea di come ciò vada detto. La commedia sta nel mostrare come nella follia irrazionale di colpo appaia un testo che risulta magnifico e straordinariamente razionale.
Pensa che il film possa essere ben compreso e recepito anche al di fuori della Francia?
Ne sono certo. Già so che va forte in Canada e in Quebec ma anche in Australia e negli Stati Uniti, sta ricevendo critiche molto buone. Io penso che sia una storia universale, perché la prospettiva è quella del collaboratore di Taillard: un giovane uomo alle prese con il suo primo incarico in un universo di pazzi. Il comportamento del Ministro, poi, non ha nulla di peculiarmente francese. Dal Canada mi hanno detto che sembra il loro primo Ministro, lo stesso in Australia. Un mio amico sceneggiatore americano mi ha detto che gli ricorda come funzionano le cose in uno studio hollywoodiano. Come lavorare per Martin Scorsese.
Lei che ha un passato di critico, cosa ne pensa del cinema italiano, in particolare di quello che tratta appunto il tema del potere, in tono ironico o serioso?
Mi sono sempre sentito più cineasta che critico, ma sono cresciuto guardando decine e decine di film italiani sull’argomento. Rosi con il suo Le mani sulla città. Ma anche Il divo di Sorrentino o La meglio gioventù di Giordana, o ancora Moretti, o i Taviani di Cesare deve morire. Mi piacerebbe vederne di più. Il paradosso è che da quando esiste l’Europa c’è meno circolazione delle opere europee. Prima noi in Francia vedevamo molti più film italiani e voi molti più film francesi.
Ma de Villepin lo ha visto il film?
Sì, ha riso molto. E’ un tipo colto e con tanto senso dell’umorismo. Ha detto che lo abbiamo rappresentato in maniera fin troppo sobria.
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