Il provocatorio, anticonformista e irriverente Bertrand Blier torna al cinema a cinque anni di distanza da Per sesso o per amore? – in cui il ruolo principale era della nostra Monica Bellucci – con Le bruit des glaçons (Il rumore dei cubetti di ghiaccio, NdR). E nemmeno stavolta ci fa rimpiangere il suo umorismo nero, al limite della cattiveria, gestendo in chiave comica la storia di uno scrittore affascinante e di successo (Jean Dujardin) che viene visitato addirittura dalla morte, impersonata da un uomo (Albert Dupontel), che un giorno va a bussare alla sua porta e gli dice: “Sono il tuo cancro”. Due grandi attori comici francesi, dunque, per mettere in scena una commedia di stampo teatrale che affronta il “senso della vita” (sì, il riferimento è all’esilarante “tristo mietitore” dei Monty Python) e quello della lotta contro una malattia che sembra non lasciare scampo. Presentato alle Giornate degli Autori, il film è stato accompagnato al Lido dal regista e dall’interprete femminile Anne Alvaro, la domestica che nel film fa innamorare lo scrittore Charles Faulque – ormai autodistruttivo e costantemente attaccato alla bottiglia – e gli offre nuovi motivi per lottare. Uscito in Francia una settimana fa, Le bruit des glaçons inizia a Venezia il suo cammino internazionale.
Ha usato due grandi attori comici per un film sulla morte. Fino a che punto ha chiesto loro di seguire la sceneggiatura o, eventualmente, di improvvisare?
Ho sempre molto scritto tutti i film che ho realizzato. Non mi piace improvvisare e anzi adoro sentire i miei attori pronunciare le battute che ho scritto per loro. I comici spesso sono i più grandi attori drammatici. Charlie Chaplin, ad esempio, era capace di essere triste e comico persino nella stessa inquadratura, poteva far ridere e far piangere con la stessa efficacia e intensità. Anche in Italia c’è una grandissima tradizione in questo senso: Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Totò erano dei grandi attori che riuscivano benissimo sia a far ridere che a far piangere.
Il film parla della minaccia della morte, ma lascia speranza. Può l’umorismo aiutare a sconfiggere la morte?
Non ho una teoria particolare sull’umorismo, che secondo me segue anche degli schemi geografici. Il mio, naturalmente, è un umorismo francese, ma se il film lo avesse fatto uno svedese sicuramente avrebbe raccontato la storia in modo molto diverso. E’ possibile parlare di morte senza necessariamente far piangere, era una delle forze di un grande narratore come Molière.
Qual è il suo metodo di scrittura?
Scrivo sempre di getto, in modo molto naturale e spontaneo, non so mai prima dove andrò a parare, altrimenti mi annoierei. Ho sempre bisogno di avere davanti a me un mistero, qualcosa da comprendere, il che spesso crea delle situazioni comiche. Le persone che non capiscono, infatti, spesso vengono prese in giro, come chi non capisce le donne o l’amore.
Le bruit des glaçons si svolge tutto in unico ambiente, una villa di campagna, ed è di stampo molto teatrale.
Sì, è decisamente vero. Infatti ho pensato che se non fossi riuscito a portarlo al cinema lo avrei fatto a teatro. Mi sarebbe bastato un unico ambiente, in cui il cancro sarebbe comparso bussando a una porta e presentandosi.
Ha mai pensato a Il senso della vita dei Monty Python nello scrivere il film?
Onestamente no, ma ci sono molti film con la morte, a partire da quello di Bergman, e diversi di questi provengono dalle cinematografie del nord Europa.
Ha già un nuovo film in preparazione?
Sì, ma è presto per parlarne e non mi piace svelare i miei piani troppo in anticipo perché creerei problemi alle persone coinvolte. Comunque sicuramente farò un altro film, ma sarà il contrario di questo: il suo unico scopo sarà quello di far ridere, perché per ora ho esaurito la mia riserva di emozioni. Tra pochi giorni poi andrà in scena a Parigi un mio spettacolo teatrale, e in questo momento ho molta più paura di quel debutto che delle sorti del mio film.
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