Olivia che fa irruzione di notte nel mondo chiuso e protetto che il fratello piccolo Lorenzo si è costruito attorno, un materasso a terra dentro una cantina polverosa dove lui ha intenzione di passare la settimana bianca da solo e a modo suo… Ma Olivia, sballata e aggressiva, non sa dove dormire, insiste, minaccia di svegliare tutto il palazzo e “tradire” il segreto di Lorenzo. Poi fratello e sorella ballano felici su una canzone di David Bowie, che canta in italiano Ragazzo solo, ragazza sola… Sono le prime immagini di Io e te, il film che riporta Bernardo Bertolucci sul set a quasi nove anni da The Dreamers, altra storia di crescita e ribellione. Ma qui siamo fuori dalla grande Storia, in una quotidianità contemporanea ricavata dal libro di Niccolò Ammaniti (anche sceneggiatore con Umberto Contarello e Francesca Marciano). Siamo dentro un film piccolo e da camera, huis clos come lo era L’assedio. “Un film a misura della mia sedia elettrica”, come Bertolucci ha ribattezzato la poltrona su cui si muove. Ma la sua malattia finalmente non gli ha più impedito di tornare a lavorare in questo progetto prodotto da Fiction con Mario Gianani e Medusa che uscirà a maggio 2012 e che ha certamente un posto prenotato al Festival di Cannes. Accanto a lui, i due giovani protagonisti, il quattordicenne Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco, fotografa e artista catanese poco più che ventenne. Entrambi pieni d’amore per il regista che li ha guidati in questo passo a due girato soprattutto nello studio dell’artista Sandro Chia, a Trastevere, “a 45 secondi da casa mia”, come spiega il cineasta. Per Tea di questa esperienza resta “la poeticità infinita della persona che è Bernardo. Ho imparato a vivere, ad amare, a creare solamente con il suo sorriso”. Mentre Jacopo, anche lui scelto tra centinaia di ragazzi della sua età, dice: “Sono qui per caso ma anche non per caso”.
Di solito i suoi film sono avvolti dal mistero, stavolta c’è alla base della sceneggiatura un romanzo già molto conosciuto.
E’ strano fare un film quando centinaia di migliaia di persone hanno letto il romanzo, che si trova a dieci euro in tutte le librerie. Questa è una grande differenza rispetto al mio modo usuale di fare cinema. Niccolò Ammaniti mi aveva già regalato Io non ho paura, che poi fu fatto, e bene, da Gabriele Salvatores. L’anno scorso mi diede questo libro a dicembre, mentre stavo partendo per New York, dove il Moma mi dedicava una retrospettiva. L’ho letto in poche ore.
Cosa l’ha convinta a farne un film?
Resisto poco quando si parla di un giovane che sta crescendo e questo non è il primo film che faccio su personaggi adolescenti. Poi era una storia che potevo raccontare stando sulla mia sedia elettrica e muovendomi sul set con grande agilità. Da un lato mi sembra incredibile essere tornato a fare un film, dall’altro mi sembra la cosa più naturale del mondo.
Cosa l’attrae in particolare della condizione adolescenziale?
Penso spesso ai versi che Rimbaud scrisse a 16 anni e di cui mi parlava mio padre Attilio: “Non si può essere seri a 17 anni”. Gli adolescenti sono in continuo mutamento, un materiale umano che devi acchiappare in quel momento, altrimenti ti sfugge.
Si era già confrontato con un libro, il romanzo di Moravia “Il conformista”, nel 1970.
Ricordo che dissi a Moravia, di cui ero amico e che frequentavo insieme a Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini: “per essere fedele al tuo romanzo, mi tocca tradirlo”. Lui mi rispose che era abituato. Quando ho detto la stessa frase a Niccolò, ha fatto piccola smorfia, ma poi ha partecipato alla sceneggiatura ed è stato complice dei cambiamenti.
Quali cambiamenti, soprattutto?
Il personaggio di Olivia ha un’identità diversa. Sono andato a scavare nel passato di Tea Falco, ho dato al personaggio il suo amore per la fotografia, si vedono anche alcune sue belle fotografie. In tutti i miei film, scelgo i miei attori anche in base al fatto che potrò vampirizzarli.
Come mai ha rinunciato al 3D?
Quando ho fatto i provini a Cinecittà tra marzo e aprile, mi sono reso conto che il processo delle riprese in 3D era incredibilmente rallentato e questo avrebbe messo in pericolo la mia velocità nel cercare di acchiappare quello che ho davanti. Certo, avevo una grande curiosità per questo mezzo, che ha permesso un film bellissimo come Pina di Wenders, ma ci ho rinunciato, come ho rinunciato al digitale, perché la sua diabolica definizione mi ha sconcertato. Se uno ha qualche tentazione impressionistica, col digitale se la deve dimenticare. Per tanti anni ho cercato la definizione, adesso che c’è, ne fuggo. Così sono tornato al 35 mm.
Come mai ha scelto lo studio di un artista come set?
In questo studio c’era qualcosa, sembrava che questo luogo fosse pronto per essere invaso dal mio film. Sandro Chia ci ha permesso di costruire qui la cantina dove Lorenzo si rifugia e dove io sono stato come un topo nel formaggio. Qualcuno lo trova claustrofobico, ma io provo un senso di claustrofilia. Nel libri di Ammaniti tornano spesso questi luoghi chiusi, la cantina, il pozzo di Io non ho paura. I suoi personaggi si muovono sempre verso il ventre materno.
La scena del ballo che abbiamo visto ne richiama altre nel suo cinema.
In quasi tutti i miei film ci sono dei momenti in cui i miei personaggi ballano. Il musical è un’altra delle cose che amo molto nel cinema. Questi momenti, come il tango di Marlon Brando e Maria Schneider, ti permettono di dire molto di più dei dialoghi, sono come spazi poetici in cui ci si può attardare. Nella scena che avete appena visto fratello e sorella finalmente si abbandonano uno all’altra, si accettano e si riconoscono.
Come ha scelto i due protagonisti e cosa cercava in loro?
Quando faccio i provini sono estremamente aperto a quello che mi porta la realtà. Stavolta cercavo un ragazzo di 14 anni e una ragazza di una decina d’anni in più. Il resto aspettavo che venisse da loro. Ho bisogno di incuriosirmi del segreto che c’è in queste persone.
Qual è il ruolo dei personaggi adulti interpretati da Sonia Bergamasco e Pippo Delbono?
Sono lì per rendere ancora più solitaria l’esperienza di Lorenzo, che decide di fingere di andare in settimana bianca e si organizza una settimana in cantina, senza aver previsto la variabile impazzita che è la sua sorellastra, tossica e strana, ma anche ribelle e vitale. Gli adulti sono lì un po’ per sbaglio e stanno a distanza, come nel romanzo.
Le è tornata la voglia di fare cinema?
I prossimi mesi li dedicherò alla ricerca di cosa fare subito dopo Io e te, magari un altro piccolo set dentro questo stesso posto.
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