“Geppetto è il super babbo per eccellenza, il più famoso del mondo insieme a San Giuseppe, entrambi con due figli adottivi piuttosto discoli – dice con entusiasmo Roberto Benigni presentando l’attesissimo Pinocchio di Matteo Garrone, in sala dal 19 dicembre con 01 in 600 copie che saliranno a 670 il 25 dicembre, giorno di Natale – E’ un Pinocchio divertente e commovente. Il Pinocchio migliore che abbia mai visto fino ad ora”. E detto da lui, che il personaggio lo aveva interpretato in un personalissimo kolossal del 2002, nato a ridosso del successo de La vita è bella e che purtroppo deluse le aspettative di molti, è tanto.
Come si presenta invece la versione di Garrone? Innanzitutto, c’è da dire, fedelissima a Collodi. “Ci tengo a chiedervi – dice il regista apertamente ai giornalisti – di essere “onesti” nei confronti della pellicola. Il mio cinema è spesso associato a toni cupi o violenti, ma in questo caso ho voluto fare un film adatto a tutti, grandi e piccini, mantenendo lo spirito del testo originale e inglobando aspetti ironici e leggeri”. E ci riesce, ma non è da negare che la componente paurosa sia proprio insita nel racconto collodiano, come in tutte le migliori favole, che educano anche agli aspetti più duri e spaventosi della vita. L’impianto, ad ogni modo, è molto teatrale, e se è vero che Garrone è un regista influenzato dalla pittura, qui questa influenza emerge più chiara che mai. Gli allestimenti scenografici, i costumi, le luci e il design dei personaggi – a partire da quello del burattino, che nelle sue fattezze legnose e artificiose riesce a unire aspetti inquietanti e teneri al contempo, grazie anche alla buona prova del piccolo attore Federico Ielapi – sono l’aspetto più forte del film e anche quello più originale, insieme ad alcune gag relative al personaggio di Geppetto che evitiamo di rivelare perché sarebbe veramente un peccato. Sono preponderanti le atmosfere rurali, il forte senso di povertà che c’era anche in Comencini, ed è bello vedere una città dei balocchi che non sembra un moderno luna park ma un’area gioco allestita con pochi mezzi campagnoli, una specie di sagra di paese che però, agli occhi dei bambini indigenti in procinto di cedere ai più bassi istinti diventando somari, sembrano una vera e propria cuccagna. Il ritmo è lento e spesso dilatato, gli attori hanno molto spazio per muoversi sulla scena e anche fuori scena – c’è anche una tipica gag sonora con ‘ruzzolone sulle scale’ che si sente ma non si vede – e c’è da dire che, a partire dallo stesso Benigni e da Gigi Proietti che interpreta Mangiafuoco, sono veramente bravi.
“A Benigni ho proposto la sfida di un personaggio segnato dalla povertà e dal tempo – spiega Garrone – e lui lo ha accettato con grande entusiasmo. È stato straordinario, generoso, coraggioso. Avevamo fatto un accordo di non farci reciproci complimenti, ma il patto è infranto. Ho iniziato a disegnare Pinocchio che avevo sei anni, è una storia che mi accompagna da sempre e come regista non potevo resistere alla tentazione. Già con Il racconto dei racconti avevo iniziato a esplorare un territorio dove si mescolano reale e sovrannaturale, ma questo film è una storia a sé. Il primo illustratore di Pinocchio, che ha lavorato a stretto contatto con Collodi, è stato Enrico Mazzanti, e più ancora che a qualche film mi sono ispirato a lui, oltre che alla pittura dei macchiaioli. Naturalmente ci sono anche le mie influenze cinematografiche, mi piace Tim Burton ma se c’è un’influenza sua nel film non è premeditata”.
Benigni insiste sul parallelismo evangelico: “Giuseppe e Geppetto hanno entrambi figli che gli scappano di casa, muoiono e risorgono. Sono due grandi padri e anche io avevo fatto un padre ne La vita è bella, in quel caso dicevo la più grande bugia a fin di bene, ero pinocchietto io. Mi sono legato proprio a questa storia d’amore tra padre e figlio. Geppetto è un personaggio iconico, universale, ci si riconoscono tutti. Avevo già detto di sì a Matteo prima che mi proponesse il film, in pratica. Se capita un personaggi così, nella vita artistica di un attore, non si rifiuta certo. Ho lavorato, sono ‘invecchiato’ apposta per la pellicola. Quando Garrone mi ha fatto vedere la prima foto dal set, sembravo mio nonno. E’ uno dei più grandi registi che conosca. Certo, somiglia a un pittore, ma non dimentichiamo che con le immagini sa soprattutto raccontare. Mi ha incantato. Sul set era con le antenne sempre alzate, era come se scrivesse il film con la biro giorno per giorno, seguire le sue indicazioni è stato naturale. La povertà di Geppetto è la madre di tutte le ricchezze, quella povertà non solo ‘dignitosa’, ma talmente estrema che ti fa sembrare un miracolo la vita, e la scena della trasformazione di Pinocchio significa il massimo della ricchezza: guadagnare la vita. Una vera cornucopia. E poi c’è Chaplin, il più grande Geppetto e Pinocchio di sempre. Mi sono ispirato a lui per le scene del formaggio e dell’osteria. Pinocchio ci conquista come Amleto, Don Chisciotte, L’Iliade o la Divina Commedia. Nasce puro e pensa che non ci sia il male nel mondo. E’ come il mare, ci avvolge e ci conquista con i suoi insegnamenti diretti e indiretti. Ma la sola trovata del naso che si allunga per le bugie vale mille superpoteri di Batman e dell’Uomo Ragno”. Una lunga porzione di conferenza è dedicata agli effetti speciali e in particolare al trucco di Pinocchio, a cura di Mark Coulier su design di Pietro Scola, nipote di Ettore.
“Mi sono occupato di face painting – dice Coulier – e so già che è difficile tenere un bambino fermo per dieci minuti per truccargli la faccia. Figuriamoci per tre ore come accadeva con Federico. Ma lui è già davvero una piccola star”. E il bimbo, in effetti, gli risponde scherzosamente con grande scioltezza: “Dopotutto, mi pagavano”. Sorprende trovare Massimo Ceccherini, interprete del personaggio della Volpe accanto al Gatto Rocco Papaleo, come co-autore della sceneggiatura. “Abbiamo iniziato lavorando alla Volpe – dice Garrone – poi ci siamo estesi. Il mio script originale era pedissequo rispetto a Collodi, ma abbiamo capito, lavorando anche su altri personaggi, che potevamo cambiare qualcosa per renderlo più divertente, e Massimo è diventato una figura importantissima”. “Cosa che – aggiunge Ceccherini – fino a oggi mi aveva detto solo la mia mamma”.
Prosegue Proietti: “Mi piace il raffronto Geppetto/Giuseppe. Dopotutto sono entrambi falegnami. Quanto a Mangiafuoco, potrebbe avere il film tutto per sé. La sua è la storia di un uomo solo, circondato da burattini, finché non trova qualcuno, un burattino speciale, senza fili, che lo salva e lo fa ravvedere. Quanto a me, Garrone mi ha convinto facendomi vedere un fotomontaggio di me nei panni di Mangiafuoco. Sembravo anche un po’ Rasputin, ma mi ha incantato”. “Ci sono mille chiavi di lettura possibili per Pinocchio – dice Garrone andando verso la conclusione – per me c’è la storia tra padre e figlio e la storia di redenzione. Anche sul naso e le bugie non ho voluto insistere. In Collodi c’è una sola scena, iconica, in cui a Pinocchio si allunga il naso. Ho usato quella e basta. E naturalmente c’è l’elemento animale, perché tutti gli animali che circondano Pinocchio sono allegorie di qualcosa, quindi abbiamo dovuto capire fino a dove spingere l’antropomorfismo per ciascuno. Ma in Collodi c’è già tutto, non c’è bisogno di inventarsi chissà che. Sono bravo soprattutto a collaborare con le persone giuste. Infine, sulle location, non ho mai avuto l’esigenza di lavorare soltanto in Toscana. Ho cercato i luoghi e le atmosfere che i personaggi e la storia mi suggerivano. Anche perché la Toscana di oggi non è quella di fine ‘800. Si trovano posti più adatti a rappresentarla in giro per l’Italia che attorno a Collodi”.
Si conclude tutto con una nota scherzosa, su Benigni, che dopo aver interpretato Pinocchio e Geppetto dice “mi manca solo la fata turchina. Ma se Garrone mi chiama sono disposto a fare anche la balena”.
Nel cast ci sono anche Marine Vacht e Alida Baldari Calabria nei panni della fata turchina, a diverse età.
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