Benedetta Argentieri e il fascino ambiguo della “matchmaker dell’Isis”

Presentato fuori concorso a Venezia 79, The Matchmaker è un documentario con protagonista Tooba Gondal, giovane donna britannica fuggita in Siria per unirsi allo Stato Islamico e lì diventata una dell


VENEZIA – “It’s a match!” è l’iconica frase che appare nelle app di incontri quando due profili esprimono reciproco interesse. “Matchmaker” è quella figura professionale che prova ad accoppiare uomini celibi e donne nubili della propria comunità. Dal 2014 al 2017 su Twitter e altri social è stata popolarissima la figura di una donna accusata di avere convinto, attraverso la propria propaganda, almeno una dozzina di donne a lasciare le loro vite normali per diventare mogli di jihadisti dello Stato Islamico. Il suo nome è Tooba Gondal ed è la protagonista di The Matchmaker, documentario fuori concorso a Venezia 79 diretto da Benedetta Argentieri.

Veterana del giornalismo documentaristico in medio oriente, la regista ha deciso di raggiungere la Siria in prossimità dell’ultima battaglia contro l’Isis, per cercare di comprendere le motivazioni di un “esodo di migliaia e migliaia di donne”. Rigettate dai paesi di appartenenza, perlopiù europei, queste donne e i loro bambini, vivono ancora in campi di prigionia che avrebbero dovuto essere provvisori. È in uno di questi campi che è avvenuto l’incontro cruciale per la nascita di questo film: “È stata lei ad approcciarsi e a presentarsi. – spiega Argentieri – L’ho googlata e ho scoperto che è molto famosa. Ho capito fin dall’inizio che lei potesse essere la protagonista, per delle risposte che mi dava e per la possibilità che avevo di controllare quello che mi diceva. Tantissime volte ho trovato delle contraddizioni e sono tantissime le cose che non mi ha detto, come il fatto che il primo marito fosse un importante emiro, che fosse anche lui un reclutatore e che avesse convinto la sorella di Tooba a unirsi all’Isis, che però è stata fermata dai servizi segreti britannici”.

Nel documentario, girato perlopiù nel 2019, ci troviamo di fronte a una giovane donna appena 25enne, che nella propria vita ha affrontato un pericolosissimo viaggio verso la Siria, ha avuto tre mariti, rimanendo vedova altrettante volte, e due figli. Tooba è una donna intelligente e istruita, cresciuta a Londra in una famiglia benestante e “mediamente credente”, che è stata avvinghiata dalla propaganda jihadista per trovare una felicità che sembrava sfuggirle: “L’insoddisfazione accomuna moltissime persone. – racconta la regista – Lo Stato Islamico è un fenomeno che, nella più bassa delle stime, riguarda 100mila persone. Ci sono per esempio tantissime tedesche convertite, bionde con gli occhi azzurri. Come società dobbiamo farci questa domanda, perché ci racconta della nostra crisi. Per fortuna non tutte le persone che sentono questa insoddisfazione si unisce all’ISIS. Invece, spesso la politica dice che sono dei poveretti, emarginati o dei matti. Non si va mai nella profondità delle cose. Ho cercato di raccontare lei e anche il contesto”.

La Tooba del 2019 sembra una persona diversa da quella che la sua storia racconta. Una accanita estremista che con i suoi tweet inneggia all’annientamento degli “infedeli”, esulta per la strage del Bataclan, posa in burqa con in braccio un Kalashnikov e prega esultante per il martirio del marito kamikaze. Nelle immagini del documentario, indossa un meno coprente hijab, sorride all’intervistatrice e si dice pentita della scelta fatta quando era poco più di una ragazzina. Peccato che tutte le sue dichiarazioni siano macchiate da un’ambiguità palese: “Queste donne avevano due strategie, o inneggiavano alla Jihad oppure dicevano che non avevano fatto niente e che avevano solo seguito loro marito. Un approccio vittimistico che era stato studiato a tavolino. Provavano la parte davanti allo specchio. Tooba, secondo me, ha giocato molto con le ambiguità. In molte cose è stata sincera, per esempio quando parla del viaggio. Ma lei è molto intelligente, ha la mente in Europa e un po’ parlava al suo avvocato, pensa al processo e a come salvarsi. Penso che non credesse di trovarsi davanti una donna che sapeva molto di più di quello che di solito i giornalisti sanno. La incalzavo parecchio. Ho 7 ore e mezza di intervista con lei”.

The Matchmaker è un film che oltre a fornirci il quadro di una tragedia umanitaria fin troppo ignorata, riesce a incalzare con il ritmo di un thriller, presentando un personaggio imperscrutabile, che oscilla continuamente tra palesi bugie, mezze verità e sincere ammissioni. Un rebus umano e culturale dal grandissimo fascino. Fandango distribuirà il film, con legittimo orgoglio, a cavallo tra settembre e ottobre

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08 Settembre 2022

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