È fresca di successo al botteghino Elisa Amoruso con il suo documentario sulla fashion blogger Chiara Ferragni presentato a Venezia e uscito in sala con una programmazione-evento di soli tre giorni in cui guadagnato oltre un milione e mezzo di euro. Un vero record per un film italiano, a maggior ragione per un documentario. Così, dopo aver indagato la popolarità come valore in una ragazza che ha fatto della messa in scena del suo privato una professione di successo, la regista torna nuovamente ad esplorare un universo femminile in cui il culto dell’apparire sembra contare più di ogni altra qualità. È il mondo dei concorsi di bellezza, delle passerelle, dei set fotografici e televisivi che appare in tutto il suo patinato e ovattato splendore in Bellissime, ad Alice nella città nella sezione Panorama Italia. La domanda che sottende i due documentari sembra essere comune: a quale modello femminile aspirano oggi le ragazze, le bambine, le madri, in una società dominata dell’apparenza? “Quando mi hanno proposto il documentario su Chiara, avevo quasi finito di girare Bellissime: una strana coincidenza. Mi è sembrato di proseguire lo stesso argomento affrontandolo, però, da due punti di vista e da età different”. Giovanna, una delle protagoniste di Bellissime, è stata testimonial da bambina delle pubblicità Mattel dedicate alla Barbie. Già a otto anni era un prodotto e una protagonista della società dell’apparenza. Anche Chiara Ferragni lo è, ma nasce come una ragazza di provincia, senza contatti particolari col mondo della moda, che è riuscita a fare dell’apparire un lavoro perché ha colto qualcosa nell’aria, prima che gli altri se ne accorgessero.
“Come donna mi interrogo spesso sulle dinamiche femminili in questa nostra società caratterizzata da una componete narcisistica molto forte, effetto anche della moltiplicazione dei media e della rete – sottolinea la regista – Al momento siamo un po’ tutti obbligati ad avere questo rapporto con la nostra visibilità, prima dell’avvento dei media era una scelta personale, oggi se sei fuori dai social sei fuori dal mondo”, continua Elisa Amoruso che rivela di avere imparato molto ultimamente sui più giovani, che l’hanno inondata online di messaggi dopo l’uscita di Unposted. “Mi sono accorta che il futuro è già presente, tutte le nuove generazioni praticamente vivono connesse. La democratizzazione della comunicazione ha fatto sì che in tutte le case possano nascere nuovi talenti che, dalla loro stanzetta, possono potenzialmente raggiungere una grande platea. È la teoria della cultura convergente che si è avverata e materializzata in un oggetto che possiede in sé tutto ciò di cui abbiamo bisogno: il cellulare. Per le nuove generazioni il modello aspirazionale è quello di riuscire a farcela da soli, facendo affidamento solo sui propri mezzi e le proprie energie”.
Protagonista di Bellissime, tratto dall’omonimo romanzo-inchiesta di Flavia Piccinni, una famiglia di quattro donne unite dalla stessa passione: la bellezza. Una delle figlie, Giovanna, oggi ventenne, è stata la baby modella più richiesta d’Italia. Le altre due, Francesca e Valentina, che non hanno mai raggiunto il livello di popolarità̀ della sorella maggiore, cercano di raggiungere il loro modello provando a partecipare a ogni possibile casting. La biondissima mamma Cristina – che per tenersi in forma perfetta a quasi sessant’anni si allena facendo pole dance con un enorme palo montato al centro del salotto di casa- sta al loro fianco sin da piccole, spronandole, filmandole mentre giocano a fare le modelle, scorrazzandole da un set fotografico all’altro, quasi come una sorta di mamma-manager. Ancora adesso condivide con le ragazze vestiti, palestra, sfilate, diete e aspirazioni che sono anche le sue. “Quando le abbiamo incontrate abbiamo capito che loro tutte insieme e il modo in cui si rapportavano era qualcosa di interessante da raccontare – racconta la regista – Abbiamo capito che il fulcro del film, rispetto al libro che indagava più in generale sull’uso dei bambini nella moda, si sarebbe spostato sul legame tra una madre e le sue figlie. La famiglia è stata molto generosa nel raccontarsi, nell’aprirsi, nel lasciarci entrare all’interno delle loro relazioni”.
“Mi piace mettermi in gioco e non mi vergogno se, facendolo, vengono fuori i miei lati fragili, le mie sofferenze”, dice mamma Cristina che rincara la dose: “Credo sia giusto che le persone possano rendersi conto che al di là del mio aspetto fisico e della mia grinta, c’è anche altro. È vero che sono un po’ esibizionista, ma sono in fondo sono una persona sincera e autentica”.
Rispetto, poi, alle dinamiche di lavorazione, le riprese, come avviene spesso nei documentari, sono state po’ frastagliate e suddivise in più tempi, anche per dare modo alle protagoniste di abituarsi alla macchina da presa: “Per fare questo lavoro ci vuole un atteggiamento empatico – sottolinea la regista – occorre capire qual è l’argomento giusto da lanciare in un dato momento, per far uscire dal racconto qualcosa di più. Di solito avviene verso gli ultimi giorni di riprese, come è successo anche qui nella scena in cui le protagoniste litigano, lasciando trasparire qualcosa di più dei loro legami familiari”.
Bellissime esce il 16, 17 e 18 novembre nelle sale, e da metà dicembre su TimVision.
Parola al premio Oscar Ron Howard, regista di Pavarotti, documentario biografico in Selezione Ufficiale alla Festa di Roma 2019, stasera in prima serata su Rai Uno: materiale familiare inedito, interviste originali, tra cui a Nicoletta Mantovani, alle tre figlie e alla prima moglie, e a Bono Vox, un racconto franco e celebrativo, intimo e pubblico
Bilancio positivo per il festival dedicato ai ragazzi, che ha registrato un incremento del 29% alle biglietterie, 6000 biglietti in più rispetto al 2018. "Nel tempo siamo riusciti a costruire un rapporto diretto e autentico con tutto il pubblico, partendo dalle scuole, fino ad arrivare agli accreditati e alla critica". Così dichiarano i direttori Fabia Bettini e Gianluca Giannelli
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CECCHI GORI - Una Famiglia Italiana: dopo la mostra fotografica, la Festa ospita il documentario, per la regia a quattro mani di Simone Isola e Marco Spagnoli, prodotto da Giuseppe Lepore per Bielle Re, che ha curato la realizzazione dell’intero progetto dedicato alla dinastia che ha fatto grande parte del cinema italiano