Bianca (Barbara Ronchi); il Principio di Realtà, professato dalla dottoressa cognitivista comportamentale Brabanti (Margherita Buy); e una sorella “a metà” – figlia solo dello stesso papà, volitiva quanto affettuosa (Fotinì Peluso): sono tre cardini umani, femminili, a disegnare e determinare il triumvirato dei Dieci Minuti svelati come terapia nel film di Maria Sole Tognazzi – dall’omonimo libro di Chiara Gamberale -, sceneggiato con Francesca Archibugi.
“Il libro aveva l’idea forte di raccontare una donna che decide di ricominciare: la psichiatra le dà uno sguardo sugli altri, quindi su se stessa, proprio per poter ricominciare. Le separazioni sono sempre state al centro dei miei film e questo sì, è un film al femminile”, afferma la regista, che spiega: “avevo una passione verso la Ronchi sin da quando l’avevo vista in Fai bei sogni: quando mi è arrivata la proposta di Dieci Minuti ho pensato subito a lei”.
Lei – nel film una giornalista, che viene subito licenziata, problema di grossa portata ma che quasi s’annienta rispetto al concomitante essere lasciata dal marito Niccolò (Alessandro Tedeschi), termine che la porta ad affermare “mi sento spezzata”, perché lei a Nic – come lo chiama -, conosciuto da adolescente a Brighton, si è “aggrappata per 18 anni”, “siamo diventati grandi insieme”, ma adesso – dopo un personale periodo di difficoltà, di lui, per problemi di salute – ha deciso di lasciarla.
Ronchi, che con Francesca Archibugi aveva lavorato sulla serie Romanzo Famigliare, racconta di averla “chiamata per farmi raccontare come sia la vita di chi scrive, che per me era la cosa più difficile, perché non capivo come non si potesse vivere secondo il Principio di Realtà. Per alcuni è una vita immaginaria, si riesce a gioire di quello che si ha: è una sorta d’infanzia dell’essere umano, cosa bellissima per un certo aspetto, ma nel momento della crisi non possiedi poi gli strumenti per tirarti su, e lì arriva l’amata psicologa che mi mostra una strada”, proprio con “il patto” – come lo definisce la Dottoressa – dei 10 minuti, a cui sprona Bianca perché “lei ha un’eccessiva cautela verso se stessa: affronti l’imbarazzo, lo schifo”, le dice.
Il personaggio interpretato da Margherita Buy è: “una donna che fa molto poco per essere amata e in questo mi piace molto. L’amore nasce attraverso l’amore: Bianca si sente capita da questa donna apparentemente poco empatica. Il film è interessante perché il disequilibrio, che può capitare a chiunque, ci appartiene, a tante persone, e mi piace che il film affronti questo momento dello stato d’animo, non lontano da come stiamo vivendo il vostro tempo. Mi piace anche quel qualcosa di ‘giallo’ che ha il racconto, il non farsi scoprire subito”.
Un’atmosfera, quest’ultima, che “c’era in parte in scrittura e poi abbiamo fatto delle aggiunte in fase di montaggio: le anticipazioni, che fanno capire cosa accadrà, sono arrivate in montaggio; ma il film è cambiato molto poco al montaggio, non è stato riscritto”, spiega Tognazzi, confermata da Archibugi: “era costruito così, con un disassamento dei piani temporali. Quando scrivo per altri, mi piace proprio lo scrivere per altri. Ho pensato a come Sole avrebbe fatto, ci siamo confrontate, ho scartato quello di cui non era convinta. È anche un esercizio di contrazione dell’ego, che agli artisti fa sempre bene. Secondo me c’era una vera idea nel libro”, ma non c’era Jasmine, il personaggio interpretato da Fotinì Peluso, creato apposta per il film.
Lei è una ventenne, volitiva e affettuosa, un po’ grezza ma tanto sensibile, un prisma di spiriti e sentimenti che la presentano come un tipo molto pragmatico e capace di volare sopra alle cose della vita, una scorza per lei – figlia dello stesso papà di Bianca, minore rispetto a lei, che però è stata “scelta” come figlia ufficiale: “Jasmine arriva al momento giusto, per entrambe. Jasmine – apparentemente sbrigativa – aveva bisogno di questa conoscenza. Ho lavorato con donne intelligenti, che rappresentano una grande ispirazione per me” dice Fotinì.
E Chiara Gamberale, proprio sul concetto di “liberamente tratto” del film rispetto al libro, si dice essere stata pervasa da “gioia e curiosità, inizialmente, che poi sono continuate per il processo di lavorazione. Quando il libro doveva essere pubblicato, per la mia vita fu terribile, era il 2012: era finito il mio matrimonio ed era stato cancellato un programma radiofonico a cui partecipavo da anni; io avevo solo questa dottoressa e lei era straziata, perché tu parli sempre di quello che non c’è più; questa analista, un po’ sciamanica, mi propose la cosa dei 10 minuti, così ho cominciato questo gioco, interrompendo il romanzo che stavo già scrivendo, un altro. Il meccanismo dei 10 minuti funzionava: ti fa spostare l’attenzione dall’ossessione e senza che tu te accorga ti fa abituare al nuovo, pensando che ci siano più cose da imparare di quelle definitive. Poi il libro – Dieci Minuti – è uscito e ha cambiato la mia vita di scrittrice, uscendo dagli scaffali delle librerie e entrando anche negli studi di terapia. Poi – col film – ho conosciuto Barbara Ronchi, l’attrice che guardo con più interesse negli ultimi anni, e il personaggio di Fotinì, che mi ha commossa. Ho visto il film è mi sono incantata: il libro ha più leggerezza calvinista, mentre il film ha più registri. Il film è anche un’occasione per gli uomini per guardare dall’altra parte del cielo. Ci sono per tutti momenti di vertigine in cui – donne e uomini – puoi rischiare di cambiare e questa è una storia di rinascita”.
Questione, quella del genere, su cui Tognazzi interviene: “ho cercato, da Viaggio Sola in poi, di avere al centro le donne: da lì è nato il mio sguardo, la parte più vera del mio cinema. Penso che le donne possano identificarsi nel film ma i film si fanno per un pubblico, di donne e di uomini: per me non c’è distinzione di genere, ci dev’essere solo lo sguardo di un autore sensibile. Il pubblico è femminile e maschile e forse, col film, gli uomini possono guardare le donne da un altro punto di vista”.
“Nel film c’erano molti spunti di commedia – come partecipare al funerale di uno sconosciuto; con Sole ci siamo dette: ‘e se Bianca ci andasse davvero e vedesse la sofferenza degli altri?’. Era un modo per mettersi nella sofferenza altrui. Poi pian piano, mentre io-Bianca comincio ad ascoltare gli altri, anche gli altri sbocciano perché esistono, e mi danno la possibilità di essere meno egoriferita al mio dolore, che può essere anche più facile”, aggiunge Ronchi.
Dieci Minuti esce al cinema – in 150 copie – dal 25 gennaio, distribuito da Vision Distribution.
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