CANNES – La Francia si celebra sul parterre con ben due biografie d’artista, quella dedicata allo scultore Rodin (in concorso) e quella in onore della cantante Barbara nel film omonimo di Mathieu Amalric che inaugura oggi il concorso parallelo di Un certain regard. A vent’anni esatti dalla scomparsa della grande cantautrice, il film più che come una biografia si propone come un’esplorazione nel cuore di una figura misteriosa e suggestiva che, sulle orme di Edith Piaf e Juliette Gréco, ha segnato l’anima esistenzialista ed intellettuale della vita parigina tra caffè, sale da concerto, cantine fumose e teatri rilucenti.
Figlia di ebrei in fuga (alsaziano il padre, russa la mamma), nata a Parigi il 9 giugno del 1930, Monique Andrée Serf (così all’anagrafe) scelse il nome d’arte in omaggio alla nonna materna, Barbara Brodsky. Fuggita di casa per gli abusi paterni, costretta a nascondersi durante l’occupazione nazista, cresciuta artisticamente in Belgio, Barbara deve la sua fortuna ai fratelli Prevert che, non potendola far esibire nel loro cabaret, le offrono comunque un posto da cameriera nel 1951. Un anno passato tra i tavoli del locale, a contatto con filosofi, scrittori, musicisti, le varrà una fitta rete di relazioni che, a due anni di distanza, la farà debuttare al Quartiere latino, in compagnia di amici come Léo Ferrée l’emergente Georges Brassens. Canta Piaf e Gréco, incide nel 1957 il primo disco, sopporta le critiche che la definiscono rigida e innaturale, finché nel 1961 conquista il successo, tra Jacques Brel e Georges Moustaki, nel celebre cabaret Bobino. Da allora diventerà rapidamente un’icona, una presenza sfuggente e intrigante, un’ombra emotiva che nella sua voce farà arma di seduzione e di mistero.
Amalric sceglie però la via del meta-cinema: mette in scena un regista (se stesso) cui tocca costruire il ritratto di una diva irraggiungibile. Affida all’attrice Jeanne Balibar (che con lui ha lavorato ben nove volte ed è stata sua compagna nella vita) il ruolo della cantante, grazie a una somiglianza notevole e a un carattere che ben ne intercetta le durezze e le timidezze. E si tuffa con lei in una ricerca-inchiesta che finirà per catturare entrambi.
Alcuni dei più interessanti film del 70° Festival di Cannes arrivano nelle sale della Capitale (fino al 18 giugno) e a Milano (dal 17 al 23 giugno) grazie all'Agis e all'Anec con la classica rassegna, che nel capoluogo lombardo è dedicata quest'anno alla memoria del decano dei critici Morando Morandini
Giunta alla 21ma edizione, Le vie del cinema da Cannes a Roma (14-18 giugno) porterà in alcune sale romane e laziali una selezione di film provenienti dal 70° Festival di Cannes, che saranno proiettati in versione originale con sottotitoli. Le sale coinvolte sono il Giulio Cesare, l’Eden e il Fiamma di Roma, l'Etrusco di Tarquinia, il Palma di Trevignano e il Corso di Latina
"Non c'è solo satira in The square c'è anche un contenuto che volevo trasmettere. Volevo fare un bel film. E poi non si vince una Palma d'oro senza contenuti". Così un eccitato Ruben Östlund, il regista svedese che si è portato a casa la Palma d'oro, ha commentato il premio. Dividerebbe la Palma con qualcuno, magari con Haneke? "No, no con nessuno, è solo mia"
“Ho amato 120 battiti al minuto dall'inizio sino alla fine, non mi sarebbe potuto piacere di più”, ammette il presidente di giuria lasciando intuire la sua preferenza. Per poi aggiungere tra le lacrime, in ricordo degli attivisti che negli Anni ’90 lottarono per rompere l'indifferenza sul tema dell'Aids: “Campillo ha raccontato storie di eroi veri che hanno salvato molte vite"