BARI – “Ci hanno etichettato come film di sinistra, perché parliamo del tema dello ius soli, e per una frase contro il governo pronunciata dal personaggio di Pietro Sermonti. E ci sta. Ma in realtà abbiamo cercato di evitare la politica. Però anch’io sono diventato italiano a 18 anni e ho dovuto fare tutte le prove e i certificati nonostante sia nato in Italia”. Così parla Phaim Bhuiyan, ventiduenne italiano di origine bengalese che al Bif&st ha portato il travolgente Bangla, commedia multietnica e generazionale, tra amore e diritto di cittadinanza. Come vive la sua identità a cavallo tra due mondi, l’Islam e Torpignattara, quartiere romano abitato da tanti immigrati ma anche da hypster e vecchietti che giocano a carte? “Con spensieratezza. Ho avuto la fortuna di essere considerato sempre come italiano. Ma tanti ragazzi vivono una crisi di identità tra l’etnia d’origine e il paese dove sono nati e cresciuti, però noi di seconda generazione possiamo fare la differenza e fare ponte tra gli immigrati e gli italiani”.
Nato da un servizio per Rai2 per il programma Nemo-nessuno escluso che ha colpito Emanuele Scaringi (La profezia dell’armadillo) tanto da spingerlo a contattare il giovane autore, Bangla racconta con buon ritmo e tante trovate una storia divertente di amore e castità scritta da Phaim Bhuiyan (anche protagonista) a quattro mani con Vanessa Picciarelli. Nel film, dal 16 maggio in sala con Fandango, coprodotto anche da Tim Vision, il dinoccolato Phaim è un 22enne di “Torpigna” che fa lo steward in un museo e suona in un complessino di coetanei della sua etnia ai matrimoni bengalesi o in qualche locale underground romano. Un giorno, durante un concerto, si imbatte in Asia (la travolgente Carlotta Antonelli) e tra i due scocca immediata la scintilla. Ma il ragazzo, islamico osservante e con madre asfissiante, padre nostalgico e sorella petulante, deve restare casto fino al matrimonio. La commedia, che ha già conquistato il pubblico di Rotterdam grazie all’ironia intelligente che non risparmia nessun personaggio o luogo comune, ha tra i suoi modelli Paterson di Jim Jarmusch, Ovosodo di Virzì, Ecce Bombo di Nanni Moretti ma anche Harry ti presento Sally e le serie Netflix molto amate dal giovane cineasta.
Il produttore Domenico Procacci rivendica: ”Il lavoro su opere prime e registi agli inizi, da sempre, contraddistingue Fandango. Bangla parla di integrazione, accettazione e confronto, ovvero della ricchezza della multiculturalità, con buona pace di quella parte dell’Italia che non la pensa così, e con soddisfazione dell’altra”. Se Carlotta Antonelli parla di ”felice contrasto tra Asia e Phaim, che per me è un genio” e di come ”tramite il mio personaggio ho imparato ad avere quella pazienza che nella vita non ho”, la co-sceneggiatrice Vanessa Picciarelli rivela come si sia ”partiti dal dato autobiografico, e poi il lavoro di scrittura è stato molto fluido: abbiamo immaginato che cosa gli potesse accadere di fronte alla scelta tra amore e religione”.
Phaim racconta a Cinecittà News: “I miei non hanno ancora visto il film, la loro reazione sarà una sorpresa. Spero che le comunità bengalesi non lo prendano come la mia vita vera e che comprendano. Non volevamo dare un messaggio, ma porre delle domande e creare un dibattito. Tra i bengalesi parlare di sesso è tabù, così i ragazzi devono imparare tutto da soli. È vero che ci sono i matrimoni combinati, è un fatto culturale. Io non vado in Bangladesh dal 2011 ma so che le cose stanno cambiando, anzi, magari, loro sono più avanti di noi”. Però non nega una certa diffidenza verso gli italiani, che nel film è enfatizzata per creare l’effetto grottesco: “Molto dipende da che tipo di genitori hai, ma è vero che le storie con gli italiani non sono ben viste. L’unica soluzione è parlarne e qualche volta prendere una decisione. Ho avuto anch’io una fidanzata non bengalese e quando ci siamo lasciati ho analizzato tutto quello che era successo e mi sono reso conto che avrei dovuto essere più sincero e diretto con lei”.
Nel cast anche Simone Liberati nel ruolo di un amico spacciatore, Milena Mancini e Pietro Sermonti.
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