“Sapevamo di avere dei concorrenti di valore e con maggiore esperienza con il cinema, ma è già stato un onore essere tra i cinque nominati per il David come miglior musicista. E poi ci aspetta il nuovo film di Garrone, Primo amore, sul set proprio in questi giorni”. Non c’è rimpianto nelle parole di Carlo Macrì che insieme a Gianluigi Carlone, entrambi componenti della Banda Osiris (gli altri sono Roberto Carlone e Sandro Berti) hanno partecipato alla serata finale dei premi Donatello. La Banda Osiris è soprattutto un quartetto teatrale che da oltre 20 anni si cimenta con un’insolita comicità che mescola musica colta e leggera, ma è anche autore di sigle di programmi radiofonici Rai come “Caterpillar” e “Catersport”. In questi giorni, insieme a Eugenio Allegri, la Banda Osiris sta portando in tournée lo spettacolo “L’ultimo suonatore”, prodotto da Progetti Dadaumpa con la collaborazione del Teatro Nuova Edizione e liberamente tratto da “Tingeltangel” di Karl Valentin famoso creatore di cabaret nella Germania anni ’20 e ‘30, apprezzato da Bertolt Brecht.
Matteo Garrone, a partire dal suo secondo film “Ospiti” vi ha sempre voluto al suo fianco. Come è nata questa collaborazione?
Carlone. L’incontro con Matteo è stato casuale. Ci ha voluto conoscere dopo aver visto un nostro spettacolo a teatro e subito ci ha chiesto di occuparci di Ospiti. Il film era semplice e diretto, si sposava perciò con il nostro modo di fare musica, c’erano molti strumenti a fiato, insomma tanta Banda Osiris. Poi con Estate romana il lavoro è diventato più complesso, meno bandistico, anche se rimanevano ancora influenze del nostro stile. Abbiamo anche lavorato per Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni, un bellissimo documentario, sempre di Garrone, realizzato per la Rai e mai andato in onda.
Che cosa vi ha chiesto Garrone per “L’imbalsamatore”?
Macrì. Da subito ci ha suggerito di ascoltare le musiche di Angelo Badalamenti, il compositore preferito dei film di David Lynch. Inoltre prima delle riprese ci ha raccontato l’atmosfera pesante, ‘dark’ della storia. Abbiamo lavorato a partire dal girato: ricordo che Matteo ci mandò un bel po’ di videocassette da visionare. Con L’imbalsamatore abbiamo tirato fuori il nostro aspetto meno solare, l’anima nera della Banda Osiris. La nostra musica notturna e crepuscolare, senza compiacimenti e ridondanze, ha anche aiutato il regista nel montaggio.
Come avete lavorato?
Carlone. Innanzitutto il nostro lavoro si è incrociato con quello dei rumoristi. Matteo ha voluto che gli effetti sonori si trasformassero in musica, talvolta portando i rumori all’esagerazione, sia come volume che come rilevanza nella scena, o addirittura togliendoli completamente. Abbiamo evitato la musica da sottofondo o di commento, perché la musica per film non deve essere un soprammobile. All’inizio c’era l’ipotesi di un brano cantato da Rais degli Almamegretta, poi si è preferito evitare qualsiasi riferimento alla tradizione napoletana, nonostante l’ambientazione partenopea.
C’è un comopositore di colonne sonore che amate?
Macrì. Craig Armstrong, l’autore delle musiche di Moulin rouge!, ci ha illuminato con la sua capacità di mescolare gli archi con le ritmiche elettroniche. Ha modificato la concezione del suono dell’orchestra e il modo di arrangiare.
In che senso a teatro vi ispirate ai cartoni animati?
Macrì. Nei nostri spettacoli il suono, il movimento ci porta da una situazione a un’altra. Si procede per associazioni, così follia e improbabilità prendono il posto della razionalità. Giochiamo con il surreale.
La vostra ultima produzione teatrale è “L’ultimo suonatore”.
Carlone. Per la prima volta ci confrontiamo con un testo classico, scritto all’inizio degli anni ’20 da Karl Valentin, l’unico testo che mette in scena il rapporto tra una piccola orchestrina scalcagnata e il suo direttore. Un testo che fa ridere e anche pensare, attualissimo con quel messaggio pacifista in alcune sue parti.
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