Autotrofia, ovvero la proprietà di alcuni organismi di nutrirsi di sostanze inorganiche trasformandole in sostanze organiche assimilabili – caratteristica di tutte le piante verdi. Autotrofia a Berlino 2021 è il titolo di un’opera, dalla doppia anima, russa e italiana: il film breve, 31’ minuti, in anteprima mondiale nella sezione Forum Expanded, è dell’autore moscovita Anton Vidokle, artista e editore, russo di nascita, vive tra New York e Berlino.
Di fama internazionale, le sue opere sono state esposte in musei, istituzioni artistiche, biennali, e proiettate in festival cinematografici: quest’ultimo suo film “parla italiano”, più precisamente “lucano”; potrebbe non essere rischioso affermare che si tratti di un esempio di “cinema-poesia”, a partire dall’ambientazione silvestre e dall’uso – dichiarato e fondamentale – del suono diegetico, soprattutto notturno.
Il villaggio di Oliveto Lucano, provincia di Matera, è il set naturale di Autotrofia, un doppio binario tra la documentazione di un antichissimo rituale pagano di fertilità, mai sfumato in quest’area del meridione, e una narrativa che affonda le proprie radici nelle parole di un artista, il pittore Vassily Chekrygin, e di uno scienziato, Vladimir Vernadsky.
Autotrofia vanta molta Italia non solo nell’ambientazione e nel soggetto tematico, ma anche tra i crediti del film – Alva Noto (musiche), il Comune di Satriano di Lucania (costumi), Giuseppe Barletta (assistente alla regia),Ivan Buttiglieri (production manager),Francesca Andriani (producer) – e tra gli interpreti: con Muna Mussie e Kasia Wolinska, nel cast Alessandro Magania, Fabio Cipriano Romano, Simone Lanari.
E’ un film sulla dimensione ecologica del Cosmismo Russo, corrente filosofica a partire dall’opera di Nikolaj Fëdorov, che anela al desiderio umano di trasformarsi ed evolversi, così da non aver più bisogno di uccidere e consumare nessun altro organismo vivente per produrre l’energia necessaria a vivere.
Autotrofia è dunque un inno all’autonomia dell’essere umano e un inno alle piante verdi, capaci di generare nutrimento direttamente dalla fonte del sole: un soggetto, questo, sviluppato per la prima volta all’inizio del XX secolo, giustapposto a una più antica celebrazione pagana di King Oak e King Holly – personificazioni dell’Inverno e dell’Estate in varie tradizioni mitologiche, una festa del raccolto in cui due alberi, che appunto rappresentano le due stagioni, sono uniti in uno unico, soprannaturalmente alto, capace di completare e collegare il ciclo stagionale creato dall’orbita del nostro pianeta attorno al sole.
Un film di finzione con l’atmosfera del documentario, che fa ricorso – in alcune sequenze – ad una didascalica recitazione teatrale; un film di festa e di buio, di fuoco e di meditazione, con un senso del collettivo e della ritualità tipici delle sagre del nostro Sud, come di quelle dell’Est europeo, un comun denominatore sociale, utile a dar spunto a un tema, quello appunto dell’autotrofia, che non ha cultura, non ha terra, è universale.
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