Dopo Le buttane, Ragazzi fuori e Il macellaio, Aurelio Grimaldi, regista e sceneggiatore, cambia tutto e dirige Iris, film pensato e girato in famiglia.
È dedicato all’intensa poesia dell’infanzia ma soprattutto, come dice l’attrice Guja Jelo: “Al modo di essere dei siciliani. Gli incontri di Maria (la piccola protagonista interpretata da Arancia Cecilia Grimaldi, figlia del filmaker ndr) ne svelano la malinconia e la struggente solitudine”.
La pellicola, costata 1 miliardo e 200 milioni e prodotta da Arancia Cinema con i fondi del governo e il contributo di Tele +, ha vinto il primo premio al festival di Chemnitz 2001 come “miglior film europeo per ragazzi e famiglie”. Sarà nelle sale dal 1 febbraio.
Iris è un’opera atipica nella tua filmografia. Come è nata?
L’idea è venuta a me e mia moglie nel corso di una vacanza a Parigi. Lì vedemmo Il palloncino bianco di Jafar Panahi e ci colpì molto. Mia moglie mi prese di giro: “Per fortuna c’è ancora qualcuno che racconta storie di bambini e non solo, come fai tu, di delinquenti, violenza e prostituzione”. Raccolsi quella sfida morale e coniugale e ci mettemmo subito a scrivere la sceneggiatura. Il nostro film, molto esile dal punto di vista narrativo, è ispirato a quello del regista iraniano, ma è anche una storia profondamente siciliana.
Nei titoli di coda, oltre a ringraziare Jafar Panahi e Abbas Kiarostami, evochi il “fantasma di Zavattini”…
Prima di girare La discesa di Aclà a Floristella ho studiato a fondo i movimenti di macchina di Vittorio De Sica e citavo di continuo Cesare Zavattini. Sono i miei grandi maestri ma col tempo ho trascurato la loro lezione. Poi l’esplosione del cinema iraniano ha fatto riemergere quella passione tutta zavattiniana per il cinema delle piccole cose che ha ispirato Iris.
Perché hai scelto Ustica, l’isola di uno delle più oscuri misteri d’Italia, come location?
Anche per questo devo ringraziare mia moglie. Lei ha insegnato a Ustica per un anno e la conosceva bene. Ha scritto una lettera al sindaco per parlargli del nostro progetto e la reazione è stata positiva come spesso accade quando il cinema va in posti nuovi. Nel periodo delle riprese l’isola si è trasformata in un set e molti abitanti hanno recitato nel film.
È stato molto faticoso perché avevo bisogno della luce del sole per girare e i bambini erano costretti a lavorare tanto. Mi sentivo in colpa per questo. Ma, d’altra parte, è stato un periodo molto felice: ho passato 5 settimane con la mia famiglia, una cosa che con capita spesso ai padri registi.
Il budget era molto ridotto. Non hai pensato di girare in digitale?
Iris è un film estremamente semplice. Rispetto ai miei lavori precedenti ho ridotto parecchio i movimenti di macchina. Ci sono molti campi lunghi e la loro resa estetica sarebbe stata minore in digitale. Poi il mio direttore della fotografia si sarebbe arrabbiato se avessi deciso di rinunciare alla pellicola.
Hai girato Iris nel 2000, da allora hai lavorato ad altri progetti?
Sì. Ho finito le riprese di Un mondo d’amore, film in bianco e nero che racconta un episodio della vita di Pier Paolo Pasolini. Nel cast c’è, ancora un volta Guja Jelo nel ruolo di Susanna Colussi (la madre del “corsaro”, ndr). Ora lavoro a Rosa Fonseca, la storia di una prostituta, interpretata da Ida Di Benedetto, ambientata nella Napoli dei nostri giorni. Sarà un umile rifacimento di Mamma Roma. Poi, con mia moglie, sto scrivendo un’altra sceneggiatura sullo stile di Iris.
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