CASABLANCA – “E’ doloroso, ma anche liberatorio, recuperare la memoria di quei momenti, rivedermi ferito, gettato sul retro di un pick up, accanto a un bambino morto”. Aureliano Amadei, 34 anni, il segno indelebile della strage di Nassirya nel corpo: unico civile sopravvissuto all’attentato in cui morirono 19 italiani il 12 novembre 2003, è claudicante, ha perso un timpano e soffre ancora di attacchi di panico da quella giornata in cui si trovò quasi per caso in mezzo alle esplosioni, al sangue e alla morte. Aveva deciso di accompagnare in Iraq il documentarista Stefano Rolla, che nell’attentato lasciò la vita. “Ero un giovane anarchico e antimilitarista, precario e immaturo nel lavoro e nella vita privata. Quella mattina avevo aperto un pacchetto di sigarette che finii di fumare nell’ospedale militare insieme a un’infermiera inglese che spinse la mia sedia a rotelle fuori dalla camerata”. Dopo aver scritto, insieme a Francesco Trento, un libro pubblicato da Einaudi, Aureliano ha deciso di debuttare nella regia con Venti sigarette, prodotto da Tilde Corsi, Gianni Romoli e Claudio Bonivento con il contributo del MiBAC e la collaborazione di Rai Cinema. Il film è stato girato alla periferia di Casablanca, nel quartiere poverissimo di Mediouna, tra strade non asfaltate e case in costruzione, ma anche nel deserto marocchino e a Roma. Sarà pronto in primavera e uscirà con Cinecittà Luce. “Ci piacerebbe molto andare a Cannes, magari alla Semaine”, dice Tilde Corsi.
Aureliano, raccontare la strage di Nassirya ti è servito a esorcizzarla?
Se ho esorcizzato vedremo. Sicuramente questo è un film fortemente sentito, anche perché è un’opera prima, e perché rivive quella giornata e quello che è accaduto dopo in assoluta soggettiva. Ci sono stati momenti del set in cui sono veramente tornato indietro con la memoria, anche per questo considero il film come l’incontro tra una storia privata e la Storia.
Il tuo alter ego sullo schermo è Vinicio Marchioni, il Freddo della versione tv di “Romanzo criminale”. Come l’hai scelto?
Il primo criterio è stata la bravura, per me che ho fatto l’attore, ho studiato recitazione a Londra, ho lavorato in teatro… era inevitabile. Accanto a Vinicio ho voluto Carolina Crescentini nel ruolo della mia amica del cuore Claudia, che poi diventerà la mia compagna. Un rapporto d’amore che si sviluppa nei lunghi mesi della malattia al Celio, quando mi hanno sottoposto a sei interventi di ricostruzione della caviglia e del piede, e quando ero assediato dal politici, dai militari e dai giornalisti. Giorgio Colangeli è Stefano Rolla.
Le famiglie dei caduti nella strage sanno del film?
Certo, hanno letto il libro e sanno che il film sarà fedele al libro. Sanno anche che la mia è una visione assolutamente personale, diversa da quella di un soldato: io non ho neanche fatto il servizio di leva, mi sono finto gay per evitarlo, ma gli ambienti militari mi hanno sempre riconosciuto la totale onestà intellettuale. Racconto ad esempio che nell’attentato è esploso anche uno scuolabus con 12 bambini, e di questo non se è molto parlato nelle ricostruzioni dei fatti.
Come finisce in Iraq un anarchico antimilitarista?
E’ la stessa cosa che mi ha chiesto Vinicio. Avevo 28 anni ed ero sempre stato il matto nel gruppo degli amici, una volta mi sono buttato dal secondo piano per gioco e siccome gli altri mi prendevano in giro, mi sono buttato di nuovo. Così quando Stefano Rolla mi propose di accompagnarlo in Iraq, accettai subito anche se tutti mi sconsigliavano. Non si sapeva molto di quella guerra nel 2003, si parlava di missione di pace, di scuole e infrastrutture da costruire, ma la verità è che i militari italiani erano in una situazione di conflitto bellico e non di “pace”. Credo che in queste vicende, come anche nel recente attentato in Afganistan in cui hanno perso la vita sei parà italiani, ci sia una forte responsabilità di chi fa informazione. Nei giorni dell’attentato kamikaze di Kabul ero sul set e ho sofferto molto, ma trovo ipocrita parlare di eroi, queste secondo me sono stragi annunciate. Se i ragazzi italiani sapessero cosa trovano e cosa rischiano in queste missioni, andrebbero lo stesso?
Venti sigarette sarà probabilmente un film atipico per il cinema italiano.
È vero, è un film di guerra con uno sguardo in soggettiva, con lunghi piani sequenza che ci portano dentro all’attentato, dal mio punto di vista, persino il sonoro è in soggettiva, perché da quando l’esplosione mi perfora il timpano un fischio si sovrappone agli altri suoni. Credo che sia un film molto americano per la messa in scena dell’azione e il direttore della fotografia, Vittorio Omodei Zorini, ha fatto un lavoro straordinario. Tra i miei modelli c’è The Hurt Locker di Kathryn Bigelow e Three Kings sulla guerra del Golfo, per le scelte di fotografia.
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