VENEZIA – Risate e applausi a scena aperta per un grande ritorno. Quello di Peter Bogdanovich che a più di un decennio dal suo ultimo film (Hollywood Confidential, 2001), ha portato alla Mostra, fuori concorso, l’incantevole She’s Funny That Way, suo personale omaggio alla screwball comedy classica pieno di ritmo, di equivoci e di brio: “Mi piace far ridere la gente – ha detto il regista de L’ultimo spettacolo – e credo che regalare la gioia del riso al pubblico sia un’esperienza meravigliosa. Una volta Cary Grant mi ha detto che bisognava andare al cinema e guardare e sentire mentre altre 350 persone sghignazzano, perché è una cosa che ti scalda il cuore. Aveva ragione”.
Ambientato a New York, anzi a Broadway, She’s Funny That Way è un balletto frenetico di scambi di coppie e colpi di scena che intrecciano i destini di un regista teatrale che ha un debole per le prostitute e di sua moglie, di una psicologa nevrotica (una strepitosa Jennifer Aniston) e dei suoi pazienti, tra cui un giudice ossessivo e una call girl aspirante attrice (Imogen Poots), di un detective privato ansioso e di suo figlio, scrittore. Di un attore inglese donnaiolo (Rhys Ifans) ma sotto sotto innamorato della moglie del regista…
“L’idea mi era venuta alla fine degli anni ’70 – ricorda il 75enne Bogdanovich – mentre preparavo …e tutti risero con Ben Gazzara e Audrey Hepburn, un film che parlava di detective e di escort e per il quale avevo incontrato delle vere prostitute che sognavano di fare cinema. Alla fine degli anni ’90 io e il mio amico John Ritter abbiamo scritto la sceneggiatura. Era un periodo molto triste per noi e avevamo bisogno di fare una commedia. Ma l’improvvisa morte di John, che avrebbe dovuto fare anche la parte del protagonista, mi fece accantonare il progetto. È stato l’incontro qualche anno fa con Wes Anderson, produttore esecutivo di She’s Funny That Way, a rimetterlo in moto: Wes mi ha presentato Owen Wilson, l’attore che volevo per il mio personaggio”.
Tutta la storia, che cita abbondantemente Colazione da Tiffany, infatti è raccontata dalla escort ormai diventata famosa che attribuisce l’inizio della sua fortuna all’incontro con il personaggio interpretato da Owen Wilson, cliente romantico e assai generoso che le dà 30mila dollari a patto che smetta di prostituirsi. “Non credo di aver dato un grosso contributo alla sceneggiatura – spiega Wilson – ma ritengo invece di dover ringraziare Peter Bogdanovich per l’opportunità che mi ha dato di lavorare con lui e per essere stata una fonte d’ispirazione costante per me: in fondo se c’è un vero regista di Broadway tra noi, quello è lui”.
Gli echi alleniani non mancano e sulle affinità tra questo personaggio e quello dello sceneggiatore di Midnight in Paris, Wilson aggiunge: “E’ innegabile, ci sono molti punti di contatto. In primo luogo il fatto che entrambi abbiano qualcosa di me stesso. E il fatto che siano entrambi creazioni di due gentiluomini come Woody e Peter”.
Altro personaggio centrale del film è New York: “New York ha una sua magia – conferma Bogdanovich – Le persone dicono che è cambiata, certamente buttano giù grattacieli e ne costruiscono di nuovi, ma è sempre la stessa: resta una fonte di ispirazione. Girare lì fa la differenza”. Amaro invece il suo giudizio su Hollywood: “Non voglio mordere la mano che (non) mi dà da mangiare – scherza – Credo che malauguratamente Hollywood si sia mossa nella direzione sbagliata: prequel, sequel, cartoon e supereroi. Titanic, con quello che è costato e soprattutto per quello che poi ha incassato, ha fatto da battistrada. Ma io preferisco i film più piccoli. Oggi ci si chiede come fare 300 milioni di dollari nel primo weekend: siamo in un periodo di decadenza in America”.
Tutto può accadere a Broadway (questo il titolo italiano) uscirà il 29 ottobre con 01.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre