E’ percorso da un’inquietudine sottile e silenziosa il film che il francese Arnaud des Pallières presenta nella sezione Orizzonti. Prodotto da Les Films d’Ici con France 3 Cinéma e Rhône Alpes Cinéma, Parc è ambientato in un quartiere residenziale “all’americana”, un microcosmo a cui gli abitanti chiedono protezione e sicurezza dalle minacce del mondo. E’ lì che vive George Nail (Sergi Lopez), tranquillo padre di famiglia il cui destino è scritto già nel nome (nail=chiodo). Quando il ricco, cinico e solitario Paul Hammer (Jean-Marc Barr) si trasferirà nella “private community”, la sua vita cambierà …non a caso il personaggio porta il nome di “martello”.
Autore di diversi film nati da sceneggiature originali – tra cui Drancy Avenir e Adieu – Des Pallières si cimenta qui per la prima volta con l’adattamento di un romanzo (“Bullet Park” di John Cheever) per “provare l’esperienza di una regia ‘pura’, in cui le idee siano puri atti di immagine e suono, e non elementi derivati dalla creazione di una sceneggiatura”.
Qual è l’attualità del suo film, tratto da un romanzo degli anni ’60?
Parc racconta delle cose molto moderne e molto antiche: i ricchi hanno paura dei poveri e si proteggono da loro come possono; un padre ha paura perché suo figlio non vuole diventare come lui e arriva quasi a ucciderlo; il denaro causa l’infelicità di coloro che ce l’hanno come di quelli che non ne hanno; l’America è per ognuno di noi come un vecchio sogno, oggi fuori uso; tutte le religioni assumono la forma della follia di ciascun individuo e viceversa; l’amore tra coniugi è un duro lavoro quotidiano.
I due protagonisti rappresentano le due facce di una stessa umanità, il suo lato sano e il suo lato oscuro?
Jean-Marc Barr e Sergi Lopez appartengono alla stessa specie umana? Me lo sono chiesto durante tutte le riprese. Me lo chiedo ancora oggi, visto che i due appartengono a categorie di attori tanto diverse. Ho lavorato con Jean-Marc Barr per umanizzare il suo personaggio di cattivo, e cercato con Sergi Lopez di relativizzare il suo personaggio di buon padre di famiglia… Nel film, così, nessuno dei due è davvero migliore dell’altro. Rappresentano entrambi, allo stesso livello, le due facce di una stessa umanità. E questa non è una buona notizia, credo.
Come definirebbe il suo film? Un thriller psicologico?
Ho girato Parc pensando che sarebbe cominciato come una commedia e finito come un film dell’orrore. Il genere del film è instabile, un po’ come i sogni. Sembra che somigli di più a un incubo, perché non si riesce a capire e ad avere la visione d’insieme se non nel finale. E “capire” è una parola grossa…
Sembra che “il Parco” sia lui stesso un personaggio vero e proprio.
Il mio è un film fantastico e “il Parco” una maledizione per i suoi abitanti. Ognuno di loro vi è attanagliato da uno strano male, che resterà come un flagello interiore per gli abitanti dei paesi ricchi del 20° e 21° secolo. John Cheever, l’autore del romanzo da cui il film è tratto, la chiama la “bestia nera”. Qualcosa che crea una sorta di buco nero in ognuno.
Lei mette in scena un conflitto umano in un luogo che pretende di essere esente da ogni conflitto sociale, perché questa scelta?
Perché per quanto ci si voglia proteggere con tutte le barriere del mondo da ciò che viene dall’esterno e che ci fa paura (gli altri, i poveri, gli stranieri), finiamo sempre per imparare che la sola cosa da cui dovremmo e potremmo proteggerci è la nostra stessa solitudine, la nostra disperazione e la nostra tristezza. Il film racconta questo. Un po’ come Alien; il nemico è dentro di noi.
Che significa per lei partecipare al Festival di Venezia?
Questo film rappresenta quattro anni di lavoro, dalla sceneggiatura al missaggio. Ne ho scritto la sceneggiatura, fatto la regia e realizzato il montaggio. Il Festival di Venezia sarà la prima occasione di verificare fino a che punto ne valesse la pena. Non mi riferisco al successo o all’esito commerciale, ma a quella intuizione immodesta in nome della quale un cineasta pretende di rispondere a delle domande che delle persone che non conosce non gli hanno mai posto…
Sta già lavorando a un nuovo film? Sarà nuovamente tratto da un romanzo?
Sto scrivendo l’adattamento di un romanzo di Heinrich Von Kleist. Una storia che si svolge nel XVI secolo. Un film storico, come si dice, con i cavalli, le armi, i combattimenti. Ho la storia ma ancora non so come raccontarla, non avendo ancora idea di come affrontare un film del genere. Vorrei inventare qualcosa, ci proverò. Ma come diceva Gertrude Stein, “Se sappiamo farlo, perché farlo?”.
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