ARCIPELAGO 8


Hanno vinto le mucche! Del av den värld som är din – en kofilm, il corto svedese dal titolo impronunciabile (“Parte di un mondo che ti appartiene – un film bovino”) che racconta per immagini una giornata nella vita di una mandria di vacche, è risultato vincitore sui 28 cortometraggi di tutto il mondo in gara nella sezione “Onde corte” al recente festival Arcipelago.
La giuria, che contava tra i suoi membri i registi Ferzan Ozpetek (Turchia) e Aditya Bhattacharya (India), ha espresso la sua preferenza per questo film in bilico tra documentario senza commento e fiction “d’animazione” (l’idea è un po’ quella di Microcosmos, o, a suo modo, di Koyanisqaatsi, per capirci), costruito con un montaggio preciso senza necessità di essere serrato, ed il cui fascino sta nel raccontare solo per suggestioni. Formalmente perfetto, il film ha meritato senza dubbio il coraggioso responso.
Il premio speciale della giuria è andato invece a Moja domovina (za unutrasnju upotrebu) (Il mio paese – solo per uso interno), un film serbo senza mezzi termini, coraggioso e forte, che mescola un Blob di telegiornali di regime a materiali di diversa natura, per insinuare il dubbio che forse è esistita un’opposizione interna a Milosevic, e che forse qualcosa di irreale avviene quando i giornali di regime titolano realmente “solo la Serbia è multietnica”.
Una menzione speciale è toccata infine a J, film francese di atmosfere rarefatte, piccola Finestra sul cortile esistenziale.
Il livello generale del concorso era molto alto, e altri corti avrebbero magari meritato qualche attenzione in più. Citiamone alcuni, in rigoroso ordine alfabetico:
Argent content, opera prima del 29enne francese Philippe Dussol, regista, attore protagonista e controfigura di se stesso in questo ritmatissimo film, con pazzeschi inseguimenti sui rollerblades per le strade di Parigi girati e montati divinamente con la pacata confessione dei due rapinatori che vogliono investire il frutto del loro colpo in qualcosa di più grande, con inseguimenti d’elicotteri e altro. Alla fine il dubbio che il colpo grosso possa essere un lungometraggio rivela l’idea sottesa all’operazione;
Black XXX-mas, versione visionaria, tra hip hop e splatter, di Cappuccetto Rosso in una metropoli del terzo millennio: prodotto sofisticato, che stupisce sapere essere belga e non statunitense, di un autore da tenere d’occhio (il suo prossimo lungometraggio s’intitolerà Victims); – Fuck you all dell’italianissima, anzi romanissima, Fluid Video Crew: videointervista al fotografo degli skaters californiani dell’era punk/new wave Glen Friedman, bell’esempio di come si dovrebbe fare televisione oggi, girato e montato da un collettivo con le idee molto chiare su molti aspetti della comunicazione audiovisuale; – George Lucas in love, semplicemente geniale: noto anche per essere il corto più acquistato in Internet (ma era stato selezionato prima che ottenesse questa fama), racconta la vicenda dello squinternato studente di cinema che in tre giorni trova l’idea per scrivere un film che rischiava d’intitolarsi Cereali Spaziali e che lo renderà un maestro del cinema;
Home sweet home, durissimo ritratto del Sudafrica nero, dove il conflitto con l’oppressore bianco ha lasciato il posto alla criminalità tra piccole gang di tipo americano, tra droga, armi e musica rap;
In another country, dramma psicologico che rende omaggio ad un’incombente figura paterna, girato dal 27enne Marco Chiandretti (londinese di origine italiana) e recitato con intensità;
Kovat Miehet, comicissimo conflitto padre-figlio, coprodotto da Aki Kaurismäki (e si sente);
Mabrouk again!, forse uno dei più freschi e vitali, storia libanese del decimo anniversario di un matrimonio celebrato sotto i bombardamenti e di cui non esistono foto, che quindi vengono scattate appositamente per fare contenta mammà, tra abiti divenuti stretti, capelli mai esistiti e magicamente apparsi, colombi australiani che invece di tornare indietro come boomerang spariscono, eccetera, in un rutilare di colori e vitalità coinvolgenti;
Monna Lisa, il corto di Matteo Del Bò vincitore del David di Donatello: storia non originalissima diretta con garbo e misura, prodotto dalla Scuola Nazionale di Cinema che vede una delle ultimissime apparizioni dello scomparso Victor Cavallo;
Rape, gran prova d’attori canadese, dove una donna che ha subìto uno stupro deve raccontare per l’ennesima volta l’episodio ad un poliziotto che insiste per sapere tutti i dettagli: nonostante lei non abbia mai visto il suo aggressore, proprio quest’interrogatorio sarà sorprendentemente risolutivo;
Rien dire, altra intensa prova di recitazione, francese stavolta, che ha per protagonista Valeria Bruni Tedeschi;
Sacrificio, film basco di impianto teatrale anche questo ben recitato da una decina di attori che impersonano i pezzi di una magica partita a scacchi;
Verzaubert, straordinaria opera prima di un ventitreenne tedesco, dall’idea semplice ma dal risultato incantevole: un timido adolescente, sedutosi in biblioteca di fronte alla ragazza che gli piace, si vedrà involontario protagonista di una scena acrobatica e romanticissima a causa di una specie di voodoo scatenato dalle sorelline che a casa hanno appiccicato suoi ciuffi di capelli al Ken, compagno della Barbie…

autore
08 Giugno 2000

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