ANTONIO TABUCCHI


“Mentre scrivevo Sostiene Pereira avevo trovato un olio degli anni ’40, di Carlo Levi, rappresentava un signore grasso con la bombetta in testa, mi sembrava somigliasse al mio personaggio e avevo cominciato a pensarlo così. Poi Roberto Faenza fece il film con il grande Mastroianni. Ebbene, oggi per me Pereira ha il volto di Marcello, l’uomo del dipinto è scomparso”.
Potere delle immagini, potere delle parole. Antonio Tabucchi, il primo di una serie prestigiosissima di letterati ospiti a Locarno dello spazio “In Progress” (da Arnold Wesker a Arundhati Roy e Anita Desai) ha scelto come titolo per la sua conferenza proprio “Parlare, vedere”. Dalla voce come radice quasi mitologica della scrittura (Orfeo, i martiri della Chiesa cristiana) al cinema che dà corpo alle immagini interne. E le tradisce. Un problema che lo scrittore toscano non si è mai posto: “I film tratti dai miei libri mi sono piaciuti tutti. Sapevo che erano un’altra cosa e questo mi faceva piacere, perché più linguaggi ci sono e meglio è. Del resto parlare di tradimento in campo artistico è un’ingenuità”.
Non si sente uno scrittore cinematografico, ma per cinque volte è stato portato sullo schermo: dallo svizzero Alain Tanner (Requiem), dal francese Alain Corneau (Notturno indiano), dagli italiani Massimo Guglielmi (Rebus) e Roberto Faenza (Sostiene Pereira), dal portoghese Fernando Lopes (La linea dell’orizzonte).
Da sempre diviso tra Italia e Portogallo – Lisbona è la sua seconda patria, anche linguistica; a lui si deve gran parte della fortuna di Fernando Pessoa nel nostro paese – si autoproclama “vagabondo” ma al contempo radicato in Toscana, dove vive. Ed è amatissimo dagli svizzeri che sono corsi a farsi autografare la copia fresca di stampa del nuovo romanzo Si sta facendo tardi (Feltrinelli), amore epistolare e spiazzante, con in copertina l’immagine misteriosa di un abbraccio tra una coppia senza volto.
Tra i suoi primi amori al cinema cita il neorealismo e Buñuel, ma non è spaventato dalle nuove frontiere anche tecnologiche. Non nasconde – non l’ha mai fatto – preoccupazioni politiche per la situazione italiana specie all’indomani dell’approvazione della legge sul legittimo sospetto: “Vorrei che il presidente Ciampi fosse davvero garante della Costituzione. Forse i girotondi bisognerebbe farli attorno al Quirinale”, ma è all’opposizione che vanno le sue critiche più dure. Dell’11 settembre dice: “Ci sono eventi che obbligano l’immaginazione a rincorrerli. Per il cinema degli effetti speciali l’attentato è stato un disastro perché la realtà ha oltrepassato ogni espediente”. Ma all’arte riconosce una verità superiore: “L’arte è tutta falsificazione, ma è una falsificazione vera, rende simbolico ciò che sta sotto di essa. Le vere mistificazioni sono le cose apparentemente reali”.

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02 Agosto 2002

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