ANTONIO REZZA


Antonio Rezza & Flavia Mastrella Antifilm a corpo morto. E’ tutto un programma il sottotitolo di Delitto sul Po, appunti per la distruzione di uno sceneggiato televisivo pseudo poliziesco che doveva comporsi di episodi da trenta secondi e ha mantenuto la struttura a flash cadenzata da fotogrammi neri arrivando a 72 minuti di durata: musiche ripetitive, primitivismo e sguardo sghembo, ai limiti dell’inguardabile.
Gli autori, Antonio Rezza & Flavia Mastrella, sono due sperimentatori autentici della scena italiana – tra cinema (Escoriandoli) e teatro, videoarte e cabaret dove lui mette a frutto la sua faccia e la sua voce gommose e lei la sua abilità di manipolatrice di materiali – e due vecchissime conoscenze del festival torinese. Proprio qui, l’anno scorso, portarono alcune immagini di questo lavoro atipico: interpretato da amici, tra cui Elisabetta Sgarbi, autoprodotto al costo record di venti milioni, acquistato poi da Gianluca Arcopinto che ha intenzione di farlo uscire nelle sale.
L’intervista che segue, necessariamente a due voci, dà un po’ il senso del lavoro sulla necessità del caso che Flavia e Antonio conducono insieme, come altre coppie del cinema, non ultimi gli Straub-Huillet protagonisti a Torino di una grande personale.

Da cosa parte “Delitto sul Po”? E dove arriva?
FM
Parte da una location, il Delta del Po, che Elisabetta Sgarbi ci ha fatto conoscere. E arriva al film, girato in quella zona, ma anche ad Anzio e sul Tevere, aggiungendo e togliendo situazioni.
AR E’ un film frastagliato di input e output anche per mancanza di fondi. Questi famosi fondi noi non li vediamo mai. L’articolo 8 ci è stato rifiutato per un altro progetto, Pedardo a luce rossa, su cui torneremo a marzo 2002. Ma stavolta non l’abbiamo neanche chiesto.

Delitto sul Po E il montaggio interrotto dai neri?
AR
Durante il nero si ride, si parla, si tocca la persona che ti sta a fianco.

Che pubblico vi aspettate di raggiungere?
FM
Il nostro pubblico è di ogni tipo, estrazione sociale e luogo.
AR Non c’è un pubblico intelligente e un pubblico imbecille. I nostri lavori vengono presentati come strani in base alla non stranezza degli altri. Ma noi ci sentiamo immersi nella normalità fino al collo.

Perché a corpo morto?
AR
Uno che ha la cassetta può montarselo come vuole, con una libertà massima e una libidine assoluta. Nemmeno noi potevamo fermarci.
FM Infatti è stato montato dai personaggi e non dai registi. La sala di montaggio era la casa di Antonio, che è anche il set delle scene ambientate in questura e nella sala delle torture. Quando mancava una scena, ci cambiavamo d’abito per girarla e poi montarla sfuggendo al controllo degli autori.

Come vi integrate come coppia?
FM
Lavorano i cervelli: ognuno elabora qualcosa e fa quello che vuole. Poi al montaggio si decide. Chi trova i difetti, in genere ha ragione.

E come scegliete gli attori?
AR
Prima dell’11 settembre li sceglievamo in un certo modo, dopo…
FM Col basso budget, gli devono essere veramente amici.
AR Anzi, chiunque può diventare nostro amico a basso budget. Come ha fatto Arcopinto. Fatevi avanti, se volete…

Sembrano esserci riferimenti al genere poliziesco televisivo – l’impermeabile – ma anche al Volonté di “Indagine su un cittadino” nell’uso che Antonio fa della voce. Ma forse sono fantasie dello spettatore che voi alimentate…
AR
Ogni riferimento è puramente casuale. Oppure sono tracce rimaste nel subconscio. Comunque ognuno è libero di trovare ciò che vuole.

Vi piacerebbe lavorare con grossi budget?
AR
Ci eviterebbe sforzi fisici. Avremmo anche potuto girare in 35 mm, anziché in video, avendo più soldi… ma facciamo di necessità virtù.

autore
16 Novembre 2001

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