Antonio Catania


Antonio Catania. Lo ricordate in Mediterraneo di Gabriele Salvatores, Oscar 1992 per il film straniero? Basterebbe forse questo a farne un grande attore. In più bisogna metterci almeno l’ultima, strabiliante stagione: il suo nome è in locandina in alcuni dei prodotti italiani migliori: da Pane e tulipani a Chiedimi se sono felice del golden trio Aldo, Giovanni e Giacomo.
Da oggi, poi, è in 100 sale italiane anche con Ogni lasciato è perso, esordio alla regia di Piero Chiambretti. Nell’immediato futuro ha in uscita Come si fa un Martini di Kiko Stella e Ribelli per caso di Vincenzo Terracciano.
La sua versatilità sembra tradire la scoperta di una magica ricetta segreta. Eppure l’unico a esserne poco convinto è proprio lui. Partiamo dall’inizio.

Catania, come sceglie i copioni?
Il mio criterio è sempre stato quello di partecipare a progetti in cui credo davvero…

Questa è una classica risposta d’attore. E poi?
Gli ultimi lavori, devo essere sincero, li ho scelti anche per l’amicizia che mi lega, per esempio, ad Aldo, Giovanni e Giacomo. Un rapporto nato in tempi non sospetti, quando abbiamo inaugurato lo Zelig, il locale milanese che ora spopola su Italia 1. Abbiamo praticamente tirato su la saracinesca Bisio e io, quando anche Paolo Rossi si dedicava al cabaret. Era un po’ un vezzo degli attori di teatro di allora costretti, si fa per dire, a sperimentare tutti i generi. Claudio (Bisio, ndr) alla fine c’è rimasto. Evidentemente invece per me non era quella la vena giusta. Almeno non l’unica.

Che ricordi ha di quel periodo?
Pensare allo Zelig di allora mi mette anche un po’ tristezza. Per questo credo di essermi allontanato. Non mi stimolava più di tanto far ridere una scarna platea. Il gioco della sceneggiatura in Chiedimi se sono felice è legato proprio ad alcuni veri divertimenti di allora.

Tornando a oggi: sembra che lei abbia acquisito una speciale capacità di spaziare all’interno della produzione italiana, cogliendo il meglio tra opere prime e d’autore. Come fa?
Credo di essere stato fortunato. Soprattutto per quello che riguarda i film in cui compaio in personaggi minori. Mi riferisco a Pani e tulipani come anche a Mediterraneo. Sud, invece, in cui Salvatores mi ha offerto un personaggio a tutto tondo, è stata una pellicola meno fortunata. Anche in tv – nella fiction Dio vede e provvede con Angela Finocchiaro, oppure nel thriller Giochi pericolosi con Laura Morante – avevo molte aspettative verso i miei personaggi. Ma appena esco dal cliché dei ruoli di secondo piano resto deluso.

Vuol dire che è ancora alla ricerca di un vero ruolo da protagonista?
Esatto. Non è colpa mia se poi gli Amelio chiamano i Lo Verso.

Eppure lei è uno degli attori più apprezzati della scena italiana…
Certo, ma sono anche uno che, forse, non ne può più di interpretare ruoli secondari. Il termine “carattere” è proprio quello che odio di più. Mi sembra riduttivo, per un attore che viene “usato” perché non è in grado di dare di più. Un ruolo importante, al contrario, ti offre la possibilità di approfondire il personaggio, di esprimere le diverse voci che hai dentro.

Ha paura di sentirsi costretto, professionalmente, in un vicolo cieco?
Nel caso di Ogni lasciato è perso, per esempio, trovo che sono state “decapitate” proprio le scene in cui il mio personaggio provava un respiro più lungo. Questo forse perché non portava acqua al mulino di Piero Chiambretti, ma sarebbe stato utile al film. Così spesso si rischia di perdere di vista l’intero progetto, mettendo al primo posto un’insana speculazione commerciale del prodotto. In fondo a perderci qualcosa alla fine è proprio quest’ultimo, che rischia di risultare ambiguo al pubblico che lo sceglie.

Al momento le offrono molti copioni?
Direi di no. Forse qualcosa in più arriva dalla tv. Ma voglio andarci cauto. Sto facendo invece teatro per prendere ossigeno. Un’opera sperimentale, insieme a David Riondino e il trombettista Enrico Rava. Si intitola Il trombettiere del generale Custer e debutta ad Asti il 1° febbraio. Sto anche provando un monologo di Celine, un autore che apprezzo molto…

Il cinema insomma, pur apprezzandola, al momento non la aiuta.
Credo sia difficile trovare il produttore giusto che sappia davvero “leggere” le sceneggiature. Senza dare adito alle leggende metropolitane tipo quella su The Full Monty, più volte letto e scartato nel nostro paese. Il mercato è un po’ asfittico e con poche idee. Con un serbatoio che ruota tutto attorno alla tv. Da cui l’onda lunga dei comici. Neanche così infallibili al cinema. Guarda il caso di Teo Teocoli!

In più i comici amano dirigersi da soli. Non è mai stato tentato di fare qualcosa in proprio?
In questo momento non mi sento in grado. Magari più avanti…

Arrivano offerte dal mercato estero?
Non mi sembra che i nostri cugini francesi siano poi così produttivi. Anche loro, ogni tanto, azzeccano un film. Non più che a casa nostra. I tedeschi, boh? Non si sa neanche cosa fanno. Ci sarebbe l’Est… E’ una battuta. Gli attori della mia generazione hanno comunque l’handicap della lingua, probabilmente questo avvantaggia invece i più giovani.

Da quando hanno iniziato a riconoscerla per la strada?
Non succede neanche così spesso. Forse da Così è la vita. Si figuri che sto facendo un servizio per una rivista dove risulto ancora “attore emergente”. Ne ho fatto uno identico: dieci anni fa.

Ci vorrebbe un altro Oscar?

Quello che rimpiango non è comunque la popolarità. Conosco chi, come Aldo, Giovanni e Giacomo, per esempio, paradossalmente la soffre molto. Cerco solo di avere maggiori possibilità di scelta. Per incrociare la grande occasione.

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19 Gennaio 2001

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