Antonio Capuano: “La bellezza è inventarsi la vita. E anche un film”

L’Excellence Award di Alice nella Città va al regista napoletano per la sua opera prima 'Vito e gli altri', restaurata in 4K da Cinecittà. La presidente Sbarigia: orgogliosa del restauro dei film di grandi maestri


“Il restauro di Vito e gli altri è stato fatto qualche anno fa, in 4k: a parte la correzione delle macchie sulla pellicola e i lavori ordinari che si fanno nei nostri laboratori a Cinecittà, sono state ripristinate tutte le scene riprese dal negativo originale, che erano state sostituite dai pezzi di inter-negativo sottotitolati in italiano sul napoletano stretto…”

La presidente di Cinecittà Chiara Sbarigia introduce così la proiezione dell’opera prima del 1991 di Antonio Capuano, restaurata nei laboratori di via Tuscolana e presentata ad Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema dedicata ai giovani.

“Sono particolarmente orgogliosa di partecipare a questa serata”, prosegue Sbarigia, “perché con i direttori artistici di Alice nella Città Gianluca Giannelli e Fabia Bettini abbiamo scelto restauri non scontati, ovvero non necessariamente legati ai centenari o al mainstream della cinematografia italiana, ma che sono comunque film di grandi maestri. Vito e gli altri, ad esempio, che ha visto la luce negli anni ’90, è senz’altro da considerarsi un classico contemporaneo.”

“Antonio (Capuano, ndr) è uno di quei registi che non ha paura di buttarsi nel mondo dei ragazzi, nell’adolescenza, la racconta così com’è veramente”. Con queste parole Giannelli presenta il protagonista della serata alla platea di cineasti e studenti riunita all’Auditorium Conciliazione di Roma, dopo aver ringraziato tutte le scuole di cinema che in questi giorni seguono le proiezioni. “I suoi ragazzi non sono ‘morbidi’, appartengono a quella categoria infantile che invece a sottostare alle regole le vuole rompere. E a volte la parola che può sembrare volgare è semplicemente ‘parola viva’. Io credo che Antonio sia un uomo pieno di vita, i suoi film lo sono ancora oggi, come dimostra questo film del ‘91 invecchiato così bene”, conclude il direttore invitando il regista sul palco, accolto da un lunghissimo applauso”.

In jeans e golfino nero, che illumina la fluente chioma bianca di un’84enne con spirito di scugnizzo, Capuano scende le scale nel sonoro abbraccio del pubblico: “Io quando scrivo e quando giro non capisco un c..zo, posso fare anche delle cose orrende: non so se questo si chiami incoscienza, io lo sono incosciente, anarchico, non me ne fotto delle cose scritte, di come bisogna comportarsi, da che cosa bisogna cominciare…”, si schernisce il regista. “Mi piace inventarmi, perché la bellezza è pure inventarsi la vita, no? E come la vita, così si inventa un film! Io prima di andare sul set non so un c..zo, vado… e appena sono lì già so cosa fare. Lo dico al direttore della fotografia e a gli altri: ditemi quello che volete dirmi, perché io vado ‘e press’ (di fretta, ndr), faccio così veloce che nessuno parla… capito? quello mi sgomenta un po’”, continua, ridendo con gli occhi. “Io lo vorrei qualcuno che mi dicesse…, poi magari per digli ‘no, vai a quel paese, non lo voglio fare’. Ma io non so parlare di me, mi sento solo imbarazzato di questi applausi e questa festa, forse non li merito”, aggiunge, scatenando un’ovazione tra il pubblico”.

“Quanto è fondamentale per me il rapporto con i bambini e i ragazzi? A me i bambini me fann’ ‘mpazzì… Adesso ho fatto l’ultimo film con Andrea, di otto anni… guaglio’, ma cumm’ m’ha fatto ‘ncazzà!!! Lui è un vero attore, tu gli dici una cosa e lui la ricama, aggiunge delle cose che tu non avevi pensato… E poi i bambini sapete come sono: che tu gli dici ‘vai là e siediti’, quello invece fa un giro, ti guarda, fa accussì, e poi si siede: quella vitalità dei bambini mi affascina, mi regala qualcosa, perciò mi piace lavorare coi bambini, perché mi sorprendono! Io rimango incantato. Anche a Nando (Triola), il protagonista del film, sono rimasto legatissimo: l’ho visto tre settimane fa, mi piace sempre andarlo a trovare…”

Il film inizia con i fuochi d’artificio di Piedigrotta della classica notte di capodanno napoletana, unico rumore in una casa dove la tv è accesa come un disco rotto. Poi la macchina da presa ci porta nel resto della stanza, dove si è appena consumata una strage: Vito, dodici anni, è l’unico superstite: suo padre, che ha appena ucciso la madre e il fratello, gli punta una pistola contro. Poi decide di risparmiarlo e costituirsi, e il piccolo va a vivere dalla zia Rosetta e dal marito, che fabbrica fuochi d’artificio. Per sfangare il lunario lei si dà allo spaccio con l’aiuto della figlia e di Vito, che passa le sue giornate tra scippi e videogiochi, finché non viene arrestato mentre consegna una partita di droga. In riformatorio, nei lunghi sette mesi di reclusione, è abusato dai compagni di cella più grandi. Scarcerato per l’illegittimità del suo arresto (in quanto dodicenne), Vito ha continui incubi notturni che lo riportano alle violenze subite, e il suo destino appare tristemente segnato.

“La storia del film in parte l’avevo scritta quando scoppiò quel caso nazionale, alla fine degli anni ’80, di quel bambino di 12 anni che venne incarcerato: un bambino di 12 anni non può andare in carcere!”, tuona Capuano. “Vennero fatte interrogazioni parlamentari, intervenne anche il Presidente della Repubblica… e quando si accorsero di questa ‘str…ata che avevano fatto, lo liberarono, e dovettero pagare anche un sacco di soldi alla famiglia: soldi che intasca un avvocato di merda, come si fede nel film… Quindi questo bambino andò in carcere… ma come fa un secondino a vedere un bambino di 12 anni e alla sera chiudere la cella??? Bè Vito è stato in carcere più di sei mesi, dove è stato anche violentato, e poi è stato rilasciato. Questa stori mi ha proprio preso dentro, io non avevo mai scritto una sceneggiatura, anche se ne avevo lette tantissime, perché facevo lo scenografo.  Ho scritto la sceneggiatura sulla falsariga di un libro di un giovanissimo americano, Bret Easton Ellis, si intitolava Meno di Zero, mi era piaciuto tantissimo. Scrissi una scena per pagina, una alla volta, e la presentai al Premio Solinas, dove il mio progetto ha vinto”, chiosa Capuano, mentre il palco tutto saluta Annamaria Granatello, la direttrice e vera grande ‘anima’ della storica iniziativa all’Isola della Maddalena.

Mai come in questo periodo storico Napoli è tornata nelle sale e nelle case degli italiani, a partire da Gomorra, passando dalla discussa serie dei record Mare fuori, fino a È stata la mano di Dio di Sorrentino, dove Capuano è citato anche visivamente dal grande amico-allievo. Ma la purezza del linguaggio di Vito e gli altri si staglia ancora oggi ad un altro livello, e non solo perché Antonio Capuano lo gira molti anni prima: i piani dell’approccio narrativo sono lontani anni luce, come la poetica del maestro partenopeo. Dai primi piani dei ragazzini già adulti dalla nascita, che dalla collina di Posillipo guardano la zona industriale dell’allora ancora attiva Italsider, al coraggio filmico dei lunghi silenzi’, fino alla prossima massima del bambino seduto: “quando fai uno scippo e come se volassi”. Un po’ come fanno i bambini sulla ruota di Edenlandia.

Nel film la tv di quegli anni è onnipresente, zeppa di telenovelas come Beautiful o Dallas, pubblicità mute e quiz anni ‘80, che stordiscono le coscienze e sviano l’attenzione dalle misere condizioni delle classi più povere. Nei quartieri proletari di Napoli (e non solo) i soldi e la violenza sono i veri modelli della crescita dei ragazzi, gli unici strumenti per pretendere rispetto: sullo schermo Rambo fa ‘le cose che si devono fare’, e “io faccio quello che voglio, perché sono il più forte”, dirà Vito verso la fine del film. A scuola la scena non è diversa: una bimba prova a recitare l’alfabeto, ma arrivata alla m si blocca sempre, e la risposta della maestra va nella stessa direzione, la violenza. Mentre in cucina la piccola cuginetta di Vito è costantemente molestata dal padre.

“Senza camorra, la fanno gli altri la camorra”, sentenzia uno dei ragazzini che a turno interrompono la narrazione in un surreale siparietto, seduti su una sedia in una piazzetta con lo sguardo in camera, enunciando una sorta di decalogo: sono i loro dieci comandamenti, i valori da perseguire per diventare un buon camorrista. Intorno un racconto crudo, fatto di amore, che non ha apparentemente nulla di lineare o tradizionale, ma che con una serie di ‘episodi’ riesce a trasmettere il senso di smarrimento totale del piccolo Vito e dei bambini tutti, abbandonati a loro stessi da una società malata che ha rubato loro l’infanzia.  

Per chiudere il cerchio, Alice nella Città ha in serbo un’altra sorpresa per il regista partenopeo. Nella serata dedicata al primissimo film di Antonio Capuano arrivano sul palco anche due ospiti a sorpresa: Vinicio Marchioni e Teresa Saponangelo entrambi protagonisti del film che il maestro ha appena terminato di girare e accoglie con un abbraccio.

“L’esperienza di girare con Antonio, che mi è capitata varie volte, a teatro e al cinema, è sempre un’emozione grandissima perché… l’avete visto, è un po’ ‘atipico’ come uomo e come regista”, afferma commossa l’attrice tarantina. Riesce a trasmetterti quest’energia, questa passione, non si è mai stancato di fare questo lavoro, di studiare e di curiosare nella vita… ed è quello che più mi ha trasmesso: la curiosità verso la vita e quindi verso questo lavoro.

“Io approfitto della presenza in sala di tante allieve e allievi, registi, attori e attrici, per riportarvi semplicemente la commozione e la meraviglia di aver incrociato Antonio nella mia vita”, continua Marchioni.  A quasi cinquant’anni e dopo 25 di questo mestiere, capisci che l’unico senso che ha fare il cinema è inseguire la libertà, e farlo con tutto l’amore possibile. Non credete a nient’altro, e fate solo questo, me lo ha insegnato lui”.

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25 Ottobre 2024

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