Antonietta De Lillo


A. De LilloSarà festeggiato stasera, con una cena in costume al Chiostro di San Nicolò, Il resto di niente, film di Antonietta De Lillo, fuori concorso a Venezia 61.

Tratto dall’omonimo romanzo di Enzo Striano, esplora le memorie della condannata a morte Eleonora Pimentel Fonseca, scrittrice e animatrice della Rivoluzione napoletana del 1798. Protagonista è l’attrice portoghese Maria De Medeiros ma, precisa la regista, “è anche un film corale, con molte figure storiche e alcune inventate dallo stesso Striano che vivono ancora nel ricordo dei napoletani”.

La pellicola, prodotta dalla Factory di Mariella Li Sacchi e Amedeo Letizia, uscirà all’inizio di novembre distribuita da Istituto Luce.

Hai fatto un film in costume con un budget contenuto. E’ stato difficile?
C’ stato un grande sforzo produttivo della Factory: il film è finanziato solo dal fondo di garanzia, senza la partecipazioni delle ‘major’ italiane. La materia era complessa rispetto al budget ma non ho mai voluto fare un film con grande masse che mettesse in scena la Storia della rivoluzione napoletana. Piuttosto, Il resto di niente è il diario intimo di una condannata a morte.

Eleonora è una donna che si affaccia ad una scena pubblica molto maschile.
Il resto di nienteE’ soprattutto un personaggio completo. E’ una donna che a un certo punto abbraccia la politica, la vita culturale, quindi una vita per molti aspetti maschile. E’una straniera ma napoletana d’adozione, è un’aristocratica senza la patente che conosce la povertà, è più grande degli altri rivoluzionari e sente la fragilità e il fallimento della loro ideologia romantica. Non è l’eroina urlante, un’invasata che agisce per dimostrare la giustizia delle proprie idee. Agisce spinta da un senso morale della vita. Dovrebbe essere sempre così.

Il libro di Striano è un affresco minuzioso della Napoli rivoluzionaria. Cosa cambia nel film?
Come ho detto alla vedova Striano, ho stravolto il romanzo pur rimanendo fedele allo spirito originale. Il libro, molto amato a Napoli – ben prima delle manifestazioni per il bicentenario della rivoluzione che l’hanno reso famoso – è ricchissimo di particolari, capace di restituire persino la geografia della città. Io ho lavorato sui personaggi. Nel mio film la Napoli del Settecento si vede poco ma si sente. Ho scavato nel mio immaginario di napoletana per ritrovare la verità dell’epoca in alcuni luoghi: ad esempio la piscina Mirabilis dove abbiamo ambientato il carcere, o gli Archivi di Stato che conservano gli atti della separazione di Eleonora.

Il costume della protagonista è sempre lo stesso. Perché?
Insieme alla costumista Daniela Ciancio, napoletana come me, ho girato tantissime sartorie d’Europa per trovare l’ispirazione giusta. Il vestito di Eleonora cambia solo il colore, per due motivi: il primo è che la protagonista è rimasta sempre fedele a sé stessa. Poi quell’abito è più moderno dello stile settecentesco perché lo indossa una donna in anticipo sui tempi.

La scelta di Maria De Medeiros?
Non ho fatto casting. Ho incontrato Maria a Locarno qualche anno fa e l’ho trovata perfetta per il ruolo: è portoghese, ha uno sguardo forte, determinato e insieme fragile.

Ha lavorato molto alla postproduzione.
Abbiamo girato con la macchina a mano in pellicola 16mm per poi rilavorare tutto in digitale. Così ho soddisfatto la mia voglia di sperimentare. Ad esempio con i disegni di Oreste Zevola inseriti nel racconto. Ringrazio Cinecittà Digital e i tecnici che mi hanno seguito in quella fase concitata. E la Mostra del Cinema perché selezionando il film mi ha costretta al rush finale per concluderlo.

autore
M.T.
,
10 Settembre 2004

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