Un reporter di guerra sopravvissuto a un attentato che si chiude in casa e si mette a frequentare siti porno in modo compulsivo. Una hostess traumatizzata che sfugge a qualsiasi contatto umano anche banale. Una giovane pittrice che ha reagito a una brutta storia familiare evitando coinvolgimenti e vivendo amori usa e getta. Il prossimo tuo di Anne Riitta Ciccone intreccia tre storie (con vari corollari) tra Roma, Helsinki e Parigi affastellando variazioni sul tema della solitudine contemporanea: fuga dal contatto che congela emozioni impossibili da affrontare. Sullo stile di tanto cinema contemporaneo, Babel in testa, la regista italo-finlandese sceglie un modo di raccontare molto congeniale alla sua vicenda personale di donna dal doppio passaporto e dall’identità complessa. Prodotto da Francesco Torelli con Rai Cinema, oltre che con capitali francesi e finlandesi, e i contributi della Torino Piemonte Film Commission e della Filas, il film, interpretato da Jean-Hugues Anglade, Laura Malmivaara e Maya Sansa nei tre ruoli principali (ma nel cast ci sono anche Ivan Franek e Diane Fleri).
Passato in rassegna nella sezione Extra della scorsa edizione del Festival Internazionale del Cinema di Roma e uscito in Finlandia nello scorso mese di marzo sarà nelle sale italiane a partire dal 19 giugno prossimo.
Nonostante la dimensione intima delle tre storie, è forte anche il richiamo al clima di paranoia che esplose in Europa dopo l’attentato dell’11 marzo 2004 a Madrid.
Ricordo molto bene quei giorni: giravo in treno per presentare il mio film precedente, L’amore di Marja, e la polizia controllava continuamente gli stranieri. Così ho pensato di partire da questa sensazione di sospetto per affrontare un tema, quello del pregiudizio, che ha segnato la mia vita. In più ho pensato a un film europeo perché ogni paese ha un modo diverso di rispondere al terrorismo e all’emergenza.
Dice di aver incontrato il pregiudizio nella sua storia personale: in che modo?
L’esperienza di mia madre l’ho raccontata nel mio film precedente L’amore di Marja: una finlandese sposata a un siciliano e vissuta in Sicilia dove fino a vent’anni fa le scandinave erano viste come donne leggere. Ha sofferto molto e questo ha creato delle fratture in famiglia. Io ho passato l’infanzia a giustificarmi perché parlavo male e mangiavo cose diverse. Adesso ho risolto questa lacerazione e mi sento contemporaneamente italiana e finlandese a pieno titolo.
Il personaggio di Jean-Hugues Anglade rappresenta invece un altro fenomeno contemporaneo, la fuga nella pornografia e nel sesso spersonalizzato.
Spesso la paura e l’istinto di morte portano a una malsana interpretazione della sessualità, che del resto è fin troppo sopravvalutata nella nostra società. La pornodipendenza è un fenomeno reale, esistono anche delle associazioni di sostegno e ci sono persone che perdono il lavoro o l’amore della propria compagna a causa del sesso virtuale. Insieme a Jean-Hugues abbiamo cercato di evitare che questo personaggio apparisse laido, perché il suo onanismo è più una regressione all’adolescenza.
C’è un personaggio, l’adolescente che prende lezioni di pittura da Maya Sansa, che è interpretato da una giovanissima attrice Rom, Romina Hadzovic.
Sia lei che l’attrice che ha il ruolo di sua madre, Dijana Pavlovic, sono molto orgogliose delle loro origini e vivono una situazione di integrazione. Nel film però non si dice mai a quale nazione appartengono perché volevo evitare le banalizzazioni e mostrare una forma di razzismo verso lo straniero che va oltre i casi di cronaca.
La dimensione religiosa sembra attraversare il suo film come una possibile risposta all’alienazione.
Non sono credente, ma mia sorella lo è, ho fatto le elementari dalle suore e certe immagini mi ronzano comunque nella testa. Le religioni oggi sembrano diventate ridicole, così un bel ragazzo che veste hip hop ma contemporaneamente ha la vocazione di diventare prete viene preso per pazzo. Invece io ammiro chi ha una fede monoteista radicata. Gesù è la figura storica che amo di più, anche solo perché ha saputo morire a trent’anni per un’idea.
Come mai ha usato tre diversi direttori della fotografia: Fabio Cianchetti, Pasquale Mari e Fabio Zamarion?
Per esigenze produttive ma anche perché volevo che ogni storia avesse il suo sguardo: una Francia decolorata, una Finlandia fredda e un’Italia calda. Nei continui passaggi da una storia all’altra, lo spettatore capisce subito dove si trova.
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