Un ritratto a 360 gradi, documentato, ricco di informazioni, di brani di film e di testimonianze illustri che restituisce, con tono lieve e a tratti ironico, il mito di Vittorio De Sica e la sua influenza sul cinema mondiale. Con Vittorio D. – evento speciale delle Giornate degli Autori – Annarosa Morri e Mario Canale hanno immortalato la personalità poliedrica e carismatica di uno degli artisti simbolo del Neorealismo, portando alla luce i tanti ruoli della sua vita: l’attore, il regista, l’uomo, il giocatore, il padre. Prodotto da La7 e SurfFilm, Vittorio D. è stato presentato al Lido con una prima proiezione “imprevista” questa mattina, e andrà in onda su La7 il 19 ottobre prossimo, nell’anniversario della morte di De Sica. Sullo schermo scorrono immagini di repertorio del regista, interviste a personaggi del calibro di Clint Eastwood, Ken Loach, Woody Allen, John Landis, Giulio Andreotti, Shirley McLaine, oltre che naturalmente ai figli Christian, Manuel ed Emi e agli amici e collaboratori di De Sica.
Come avete costruito questo complesso ritratto di un artista poliedrico?
Al contrario degli altri documentari che abbiamo realizzato su Gillo Pontecorvo, Marco Ferreri e Marcello Mastroianni, questo era complicato perché non avevamo materiale nostro su De Sica, che è morto nel 1974, e su diversi dei suoi amici e collaboratori, anch’essi scomparsi. C’era però un imponente e interessantissimo archivio che lo riguardava, fatto di interviste e backstage, e altri archivi in cui abbiamo scovato un bellissimo documentario di Giulio Macchi e Gian Luigi Rondi fatto negli anni ’60 per la Rai.
Cosa volevate far emergere, in particolare, sul personaggio De Sica?
Abbiamo voluto ‘prenderla alla larga’, nel senso che ci interessava soprattutto scoprire cosa fosse rimasto dell’opera cinematografica di De Sica nel cinema mondiale. Per questo abbiamo intervistato Eastwood, Allen, Bogdanovich, Mazurski, Leigh e Loach. Quest’ultimo ci ha spiegato, ad esempio, che è stato proprio De Sica a far sì che la classe operaia potesse diventare protagonista al cinema, con film come Ladri di biciclette. Leonard Maltin, invece, ci ha fatto notare che oggi “non ci sarebbe un Gomorra senza uno Sciuscià o un Ladri di biciclette. Non c’è una linea diretta da uno all’altro, ma quei film rendono possibile quel tipo di approccio alla regia. E poi l’Oscar per il Miglior Film Straniero nacque proprio per la volontà dell’Academy di premiare Sciuscià , prima non esisteva”.
Il film racconta però anche la vita privata e familiare del regista.
A noi interessava soprattutto il suo cinema, ma era inevitabile, avendo a che fare con un personaggio così, raccontare anche qualcosa di personale, pur senza scadere nel pettegolezzo. Ormai tutti sanno che aveva due famiglie, che era molto superstizioso e che amava molto il gioco d’azzardo. A questo proposito sono emersi diversi aneddoti divertenti.
Andreotti torna a parlare del caso di Umberto D. e dei “panni sporchi che si dovevano lavare in famiglia”.
Sì, e sembra un po’ pentirsi di averlo detto pubblicamente in quel momento. Ma resta convinto che fosse importante non dare solo quell’immagine dell’Italia, di povertà e miseria, proprio durante il boom economico. E’ qualcosa che ricorda le polemiche dello scorso anno a proposito di Gomorra e infatti abbiamo chiesto un’intervista anche a Garrone, ma lui ha gentilmente declinato.
Come avete strutturato il documentario?
De Sica è un oceano sterminato: è nato con il teatro, poi ha avuto successo con i film dei “telefoni bianchi”, negli anni ’30 è stato un attore famosissimo sia a teatro che al cinema, poi ancora è stato tra i protagonisti del Neorealismo e ha contribuito al successo di Sofia Loren e Marcello Mastroianni. Per gestire tutto ciò abbiamo diviso il documentario in otto capitoletti dedicati ai vari aspetti della sua arte e della sua vita: Gli anni Trenta; Il neorealismo; Era mio padre; Vittorio, Sofia e Marcello; Il grande giocatore; L’attore; L’uomo e L’ultimo cinema.
Avete fatto delle scoperte su di lui nel corso delle ricerche?
Abbiamo piuttosto ritrovato delle informazioni dimenticate, come il fatto che fu scomunicato e non ebbe un funerale cattolico perché aveva fatto la veglia a Togliatti e perché era divorziato, come ci ha raccontato il figlio Christian, oppure che, a fronte di tanti capolavori, ebbe anche diversi insuccessi. Woody Allen invece ci ha raccontato che degli amici italiani gli avevano riferito che De Sica aveva visto due volte il suo secondo film, Bananas, e che lo aveva adorato: da quel momento Allen ha pensato che poteva permettersi di tutto, e soprattutto di non porre limiti al suo ego.
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