Annarita Zambrano: poesia scritta per un’amica scomparsa


CANNES. Dove corrono in tutta velocità, attraversando il bosco in bicicletta, due ragazzini che insieme fanno vent’anni scarsi. Vanno a spiare, con l’innocenza della loro età, un’adolescente che prende il sole nuda, al di là delle dune, sulla lunga spiaggia bianca battuta dalle rumorose onde dell’oceano. Ma Ophelia, come anticipa il suo nome d’ispirazione shakespeariana, giace sulla riva inerte, quasi addormentata e con gli occhi semiaperti. I due ragazzini, Thomas e Simon, recuperano il corpo, sistemano il costume, il più grande le sfiora le labbra per ilprimo e ultimo bacio, e improvvisano una sepoltura o un riparo: una piccola capanna fatta con rami.
Con Ophelia, prodotto da Sensito Films, la 40enne Annarita Zambrano partecipa al Concorso dei cortometraggi, insieme ad altri 8 lavori tra i quali un altro italiano, Adriano Valerio con 37°4 S. Dal 2000 la Zambrano vive e lavora Oltralpe: “Non mi sento in fuga, non avevo il mito della Francia terra di cinema, avevo solo voglia di fare esperienze fuori dall’Italia, dove comunque sono tornata a lavorare per il mio ultimo documentario”. E’ la sua terza volta a Cannes. Nel 2010 era alla Quinzaine con il cortometraggio Tre ore e nel 2007 nel programma di ACID- Association du Cinéma Indépendant pour sa Diffusion con La troisiéme fois.

 

Come è nato “Ophelia”?
E’ dedicato a Celine, un’amica cara francese che lavorava al CNC, una delle prime persone conosciute appena arrivata in Francia. A fine settembre mi trovavo al festival del cinema di Contis vicino a Biaritz, e avevo cercato più volte senza esito Celine per dirle di venire. C’era una tavola rotonda sui fondi regionali, organizzata da Arte, che poteva interessarla. Ho chiesto allora di lei a un comune amico e mi ha risposto ‘è partita’. All’inizio ho frainteso, poi l’amico è stato più esplicito e ho capito che non l’avrei più rivista.

E la storia narrata da “Ophelia” ha un legame con la realtà?
Sì. Dopo la notizia della sua morte ho preso la bicicletta e ho cominciato a pedalare per la stessa strada che si vede nel cortometraggio, volevo arrivare al mare e stare un po’ sola. Quasi mi sono persa, ma una volta raggiunte le dune e la lunga spiaggia mia dimestichezza con l’acqua. Non avevo calcolato che nuotavo nell’oceano e dopo poco mi sono trovata in grande difficoltà a tornare. Inutili tutti gli sforzi e alla fine esausta, distesa nell’acqua, mi sono lasciata trasportare dalla corrente che mi ha portato verso riva. Semicosciente sono stata tirata sulla spiaggia da due ragazzi che, una volta ripresa, se ne sono andati. Sola e nuda ho vagato per più di un’ora per ritrovare i miei vestiti.

“Ophelia” è diverso dai suoi cortometraggi spesso realisti?
E’ una poesia che ho scritto per la mia amica. La protagonista di Ophelia è morta ma è anche un po’ viva con quegli occhi semiaperti e quel bacio datole da uno dei due ragazzini non è macabro. I ragazzini rivestono la giovane ragazza e costruiscono con i rami intorno al suo corpo una sorta di tumulo funerario. Nei loro gesti c’è una pietà della sepoltura, che ricorda la vicenda di Antigone.

Ha da poco terminato il documentario “L’anima del Gattopardo”, quando lo vedremo?
Mi auguro alla Mostra di Venezia, perché è stato realizzato per il cinquantenario de Il gattopardo di Luchino Visconti. Il film si compone di interviste al regista prima che girasse e conservate all’INA; di una conversazione con Claudia Cardinale conservata nelle Teche Rai e poco vista; di materiali dell’Archivio Luce sugli espropri delle terre e sulle prime elezioni politiche del dopoguerra. Accanto propongo interviste a volti di oggi: un’aristocratica, una ricca borghese del Nord, alcuni imprenditori, un politico.

 

Con quale finalità?
Ho voluto verificare che cosa è successo al prototipo di quei personaggi narrati da Visconti nel suo film tratto dal famoso romanzo di Tomasi di Lampedusa. Chi sono oggi i nobili, i borghesi, i politici, i contadini, i preti.

 

I produttori de “L’anima del Gattopardo”?
Rai Cinema, MiBAC, CNC e Cineplus.

“Frammenti di un secolo in fuga” è il titolo del suo prossino esordio nel lungometraggio. C’è già una data d’inizio riprese?
No, spero il prossimo gennaio. La sceneggiatura, scritta da me insieme a Delphine Agut, è pronta. Siamo all’inizio del 2002, nei giorni dell’omicidio del giuslavorista Marco Biagi, e tutto prende avvio da un’inchiesta di un grande quotidiano italiano sui latitanti e sui ricercati per fatti di terrorismo avvenuti in passato e dalle reazioni pubbliche e private che l’articolo innesca. Alicia, coinvolta anni addietro in un attentato contro un giudice nel quale è morto anche il fratello, è riparata in Francia dove ha rinunciato al proprio cognome e si è ricostruita una vita. La sua famiglia è invece rimasta in Italia, in particolare la sorella insegnante. Nel momento in cui riemerge un clima di caccia alle streghe, si tocca con mano un paese rancoroso e pesa addosso alla famiglia d’origine di Alicia un forte senso di colpevolezza che ingiustamente le viene addebitato.

 

I possibili interpreti?
Ora sono solo dei desiderata, mi piacerebbe lavorare con Anita Kravos, Carolina Crescentini, Claudia Gerini , Filippo Timi, Celine Selette.

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