Anna Pavignano: Così il mio romanzo è diventato film


Il giovane Salvatore, vent’anni e un diploma di terza media, vive nella piccola isola dove è nato un’esistenza con un lato estivo e un lato invernale, come i materassi dice. D’estate con la sua barca accompagna i turisti alla scoperta delle bellezze dell’isola; d’inverno lavora in un cantiere edile, muratore in nero in un’attività purtroppo segnata da continue ‘morti bianche’. E’ lui il protagonista del romanzo “In bilico sul mare” (edizioni e/o) di Anna Pavignano, sceneggiatrice in passato di tanti film di Massimo Troisi, da Ricomincio da tre a Il postino, e di Casomai (2000) di Alessandro D’Alatri.
E proprio a D’Alatri, amico di vecchia data, la scrittrice ha fatto leggere in bozze il libro che è subito piaciuto al regista tanto che nel giro di un anno è partito il film con un titolo diverso, Sul mare. Una produzione indipendente e low budget della Buddy Gang dello stesso D’Alatri, che ha voluto interpreti giovani e non famosi: Martina Codecasa e Dario Castiglio, nome d’arte di Dario Faiella, figlio del cantante Peppino Di Capri.
Sul mare, girato in digitale tra fine agosto e inizio novembre, sarà distribuito dalla Warner dal 2 aprile.
Come location è stata scelta Ventotene anche se l’isola non è mai citata nel romanzo, tranne nei ringraziamenti finali dell’autrice che afferma di essersi ispirata a più isole e non a una in particolare. Ventotene, Procida, Ponza e i giovani che le abitano sono lo scenario ideale del racconto fatto di momenti drammatici. Ma è proprio a Ventotene che la Pavignano ha incontrato uno dei tanti Salvatore che le ha parlato di un mondo sconosciuto.
“Il mio romanzo nasce in fondo da alcuni colori: le morti bianche e il lavoro nero. Ma all’interno di questo dramma quotidiano vanno trovati altri colori che portino gioia e vitalità – dice la scrittrice – Il libro è colorato quanto lo è il film che ha immagini vivaci del mare e della natura”.

Cuore del suo romanzo è l’intensa storia d’amore tra due giovani di differente classe sociale.
Jessica, che nel film si chiama Martina, è una ragazza di buona famiglia che vive a Genova e che ha perso il padre. La madre nutre grandi aspettative nei suoi confronti e questo per Jessica costituisce un peso insostenibile. L’incontro con Salvatore, durante una vacanza a Ventotene, si trasforma in un grande amore tra due identità differenti.

Come reagiscono i due ragazzi?
Lei vive un periodo di grande libertà, ma scopre anche la difficoltà di gestire questa improvvisa autonomia. Lui si butta a capofitto in una storia d’amore che gli cambia completamente la vita. Prima del rapporto con Jessica era un innocente con una serenità quasi animale. Ora si chiede ogni istante il perché di tutte le cose. Lei riesce invece a mantenere un legame con il suo modo di essere.

E Atanganà, amico di Salvatore, chi è?
E’ un ragazzo del Camerun, suo compagno di lavoro nel cantiere, che ha un incidente ma per fortuna in suo aiuto interviene Salvatore. Nasce tra i due ragazzi un’amicizia forte, fatta di complicità e vicinanza, anche perché si somigliano. Ho voluto un personaggio come Atanganà perché è il simbolo di una delle ingiustizie più grandi del nostro tempo, quella dello sfruttamento degli immigrati.

Il film ha un titolo diverso dal suo libro, forse perché è liberamente tratto?
No, ho accettato il cambiamento propostomi da D’Alatri, perché quella parola ‘in bilico’ evocava un’inquietudine che nel film non c’è, vi è meno senso del pericolo. Il regista ha privilegiato l’aspetto solare, romantico e sentimentale del romanzo.

Ha incontrato delle difficoltà in fase di scrittura?
No, tutto è avvenuto in maniera molto fluida, così la scrittura della sceneggiatura è risultata armoniosa. I cambiamenti sono stati effettuati quasi automaticamente, pensando a un film fatto soprattutto di immagini. Stabiliti all’inizio i confini, Alessandro ed io ci siamo messi al lavoro scambiandoci, come sempre accade, di volta in volta il testo scritto.

Non è un po’ scomodo e imbarazzante sceneggiare il proprio romanzo?
Spesso gli scrittori non sono sceneggiatori di professione così la regola principe è quella che l’autore del libro da cui è tratto il film non dovrebbe scrivere lo script. Io ho provato comunque a trasgredire la norma, considerando il mio romanzo altro da me, non rimanendo affezionata ad esso. Ho evitato l’errore in cui spesso cade lo scrittore: quello di non fidarsi del regista e del suo punto di vista narrativo che è comunque differente perché costruito grazie alle immagini.

Non c’è il rischio che questa “riscrittura” impoverisca una vicenda già narrata?
La sceneggiatura ti dà una possibilità in più, quella di sviluppare aspetti del libro non approfonditi oppure di recuperare parti rimaste irrisolte.

E’ stata sul set?
Ho avuto modo di incontrare sull’isola regista, attori e tecnici, erano affaticati e un po’ dimagriti. Le riprese non sono state semplici a causa del mare grosso. E poi il film aveva due location: Ventotene e la vicina e disabitata Santo Stefano, l’isola dove si trova l’ex struttura carceraria. Quando la troupe girava a Santo Stefano trasportava con fatica tutto il materiale occorrente. Sembrava di vedere Fitzcarraldo mentre portava la sua nave smontata oltre la collina.

Come pensa che verrà accolto il film?
Mi piacerebbe che allo spettatore, uscito dalla proiezione, venisse il desiderio di leggere il mio libro, come se avesse bisogno di un ulteriore approfondimento. Del resto è difficile che avvenga il contrario, cioè che un lettore innamorato di quel romanzo voglia vederne la trasposizione cinematografica, perché il suo immaginario quasi mai corrisponde a quello del regista.

autore
26 Gennaio 2010

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