Ha tutte le carte in regola per dirsi indipendente Riprendimi l’opera seconda di Anna Negri in Concorso al Sundance Film Festival, tempio proprio del cinema indipendente. E’ in concorso in World Cinema, che ha ospitato, nelle edizioni più recenti, Salvatore Mereu con Ballo a tre passi (2004 ) e Sabina Guzzanti con il documentario Viva Zapatero! (2006). “Ho girato, scaricato e montato il film a casa mia, a parte alcune sequenze a casa di amici. Tutto grazie a telecamerine digitali dvcam che costano poco, registrano su una memory card che viene poi scaricata su un computer, per cui non c’è neppure il costo del nastro”, racconta la regista. Solo tre settimane di riprese, volti giovani come Alba Caterina Rohrwacher, Marco Foschi, Valentina Lodovini, Alessandro Averone, Stefano Fresi e una sceneggiatura che è cambiata via via, anche in fase di montaggio. Costo complessivo di 700mila euro, ben sotto la media, sostenuto dalla giovane Bess Movie di Francesca Neri, con un contributo finale di Medusa, che lo distribuisce dall’11 aprile.
Un film nel film. In scena la separazione di Lucia montatrice e Giovanni attore, da poco divenuti genitori, mentre una piccola troupe, un fonico e un cameraman, sta girando un documentario su di loro precari dello spettacolo. La fine della coppia modificherà il progetto tanto da costringere i due documentaristi a dividersi per seguire le vite di Lucia e Giovanni.
Per il suo debutto si era ispirata a un romanzo di Rossana Campo, questa volta ha preferito una sceneggiatura originale. Come mai?
Davanti a me c’era una storia da raccontare: quella delle separazioni di coppie con figli piccoli, che avevano colpito me e tanti altri che conoscevo. Una sorta di epidemia, un’instabilità sentimentale di molti, ovunque c’erano persone in crisi.
Di nuovo ha scelto il registro ironico?
E’ una commedia tragicomica, ancor di più rispetto al mio debutto, perché queste sono le mie corde. Mi sono formata in Inghilterra, dove il cinema ha quella capacità di ridere di cose serie, che manca invece da noi dove c’è una separazione netta tra il cinema intellettuale e quello di cassetta. Del resto la commedia “nera” non è forse la nuova tendenza espressiva? E poi mi piacciono film come Little Miss Sunshine che sdogana in modo molto comico e gentile temi seri come l’omosessualità, la vecchiaia, la crisi di una famiglia. Penso a registi come Denis Arcand, Stephen Frears, l’ultimo Neil Jordan con il suo Breakfast on Pluto.
Ma Riprendimi è anche una commedia generazionale?
Di tardoni, nel senso di 30enni e 35enni che si comportano come adolescenti.
E perché questo atteggiamento?
La loro precarietà sentimentale è innanzitutto figlia della loro precarietà lavorativa. La nostra è una società gerontocratica dove, non essendoci quel boom economico conosciuto negli anni ’60, i giovani sono tenuti lontano dalle responsabilità, e dunque non riescono a maturare. Una condizione che si riflette nel loro rapporto sentimentale: la mancanza di sicurezze economiche impedisce la formazione delle famiglie. Non a caso il nostro è un paese a crescita zero, ma prima ancora di questo segno tangibile di mancanza di prosperità sentimentale, c’è l’aspetto affettivo: la gente non sta insieme.
Alla fine bisogna convivere con questa irrequietezza?
No, si deve ritrovare sia al cinema che nella vita uno sguardo amoroso, bisogna superare questa instabilità attraverso l’amore. Nel film ci sono in parallelo due vicende: tanto più la relazione di Lucia e Giovanni va pezzi, tanto più va in crisi la relazione del regista con il suo documentario su loro due lavoratori precari dello spettacolo. La soluzione? Per il documentarista abbandonare i suoi presupposti teorici e recuperare uno sguardo non più voyeurista ma amoroso dei suoi soggetti. Per la protagonista si tratta di accettare l’imperfezione della vita, che c’è una componente di dolore. Se da un lato in queste situazioni così dolorose si acquista la capacità di guardarsi ironicamente, dall’altro la soluzione è quella di ritrovare l’amore, che è anche avere uno sguardo compassionato sul mondo.
Come è arrivata a Francesca Neri?
Grazie allo sceneggiatore Andrea Purgatori che aveva letto il trattamento, sapeva che Francesca cercava un film a basso costo, perché voleva un prodotto più artigianale, un’esperienza diversa da Melissa P.
Il titolo rimanda a più significati?
Prima s’intitolava Elettrocardiodramma, poi ho scelto Riprendimi che gioca con due livelli del film: sia “voglio tornare con te”, sia l’esibizionismo di questa coppia che ha accettato di essere la protagonista di un documentario.
Quasi tutto il film è girato a mano?
Sì, per dare un senso di immediatezza, tanto più che il film doveva avere una cifra anche documentaristica. Avevo bisogno di una spontaneità da parte degli attori che sono riuscita a ottenere solo con lunghi piani sequenza, per non interrompere il flusso emotivo.
Che cosa ha chiesto agli attori?
Li ho voluti il più credibili possibile, non impostati, così che lo spettatore abbia l’impressione di vedere una scena vera che viene filmata. Ci sono voluti due mesi di prove tutti i giorni e non avrei avuto questa libertà d’azione se il film non fosse stato una produzione indipendente, grazie anche al coraggio di Francesca che mi ha seguito in questa avventura.
Questa opera seconda arriva nove anni dopo il suo esordio.
Diversi miei progetti sono stati per anni in sviluppo da diversi produttori e poi rimasti tali, un meccanismo tipico del cinema italiano. Stanca di ciò, ho cercato nuove formule produttive, così ho realizzato un film con un budget di soli 500mila euro, con l’intervento finale di Medusa per terminarlo. In verità ci vorrebbe una palestra di film a basso costo finanziati dalla Rai e dallo Stato nella quale far emergere i nuovi talenti, così come accade in tante parti d’Europa.
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