In tournée teatrale con Una relazione privata, scritto da Philippe Blasband (anche sceneggiatore del film omonimo), Anna Galiena assume sul palcoscenico il ruolo erotico che fu di Nathalie Baye. Parte che fa il tandem con quella di Livia, protagonista fatale dell’ultima fatica di Tinto Brass Senso ’45 (uscita prevista 12 aprile) tratto, come il film di Visconti, dalla novella di Camillo Boito. Ma la vedremo anche nei film Vivancos el sucio III di produzione spagnola e Oltre il confine di Rolando Colla, coprodotto dalla svizzera Peacock e dall’italiana Micla Film.
Dal film al teatro, come si caratterizza “Una relazione privata”?
E’ completamente differente. Di simile rimane solo la trama originaria di Blasband, però quello che era il ruolo dell’intervistatore nel film, lo diventa il pubblico nella commedia belga. Invece nella versione italiana di Binosi tutto quello che loro si dicevano in confessione lo dicono l’uno all’altro. Tutto il conflitto e l’amore è molto più espresso e latino.
Dal ruolo materno di “Come te nessuno mai” a quello erotico in “Senso ’45”: è una svolta casuale?
Puramente. Ho fatto dei ruoli che mi piacevano: ruoli di madre, di puttana, di zitella, di donna appassionata. I ruoli non definiscono l’attore, è l’attore che definisce i ruoli.
In che modo ti sei preparata per la parte di Livia?
Leggendo intanto il testo di Boito, perché l’adattamento che ha fatto Brass è molto fedele al tono della novella. E’ in un altro periodo, ma nel tono è molto simile.
Ci sono connessioni con la tua vera personalità?
No, nessuna. Mi assomiglia solo per il fatto di essere passionale, perché sono stata capace di abbandonarmi a passioni anche distruttive, però mi voglio più bene di quanto non se ne voglia lei. E poi non sono così cinica.
Brass dice di aver guardato ad altre dark lady, in primis Barbara Stanwyck de “La fiamma del peccato”…
Sì, infatti mi si vede molto così nel film. Non è che mi sono preparata guardando altre donne, ma pensando al personaggio. Io trovo che i personaggi li crei lasciandoti andare con l’immaginazione alla loro vita. Mica devi andare a Venezia nel ’45 per capire il personaggio.
Mi parli di “Oltre il confine” in cui sei protagonista?
E’ stata un’esperienza molto bella, interessante e difficile. Lì sono una zitella, in carriera, né tenera né simpatica all’inizio che poi, all’incontro con un altro mondo che ci sta accanto ma che non conosciamo, cambia la sua vita riconciliandosi con il suo passato. In questo il personaggio mi somiglia.
Come è stato girare in Bosnia in una situazione di guerra?
Un’esperienza sconvolgente. Non c’è solo distruzione, pogrom, palazzi sventrati, ma le persone che ti raccontano com’era. Non è solo quello che abbiamo visto in tv. Non ce l’hanno raccontata davvero questa guerra. Hanno assediato la città, lasciandola senza luce, gas, acqua per quattro anni, ammazzando e bombardando la gente. E noi zitti a guardare.
Figuravi nel cast di “Hotel” di Mike Figgis. Poi cosa è successo?
Dovevo esserci, Figgis mi aveva cercato, ma poi mi sono dissociata. Mi diceva “vieni quando vuoi”, c’era una trama che s’improvvisava, c’erano ruoli che non si sapeva come venivano assegnati. Visto che avevo comunque tante cose da fare, fra cui preparare il ruolo di Brass, non me la sono sentita di fare una cosa a metà.
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