Anita Pallenberg, l’altra faccia dei Rolling Stones

Rockettara”, attrice, musa ispiratrice e madre, Pallenberg che ha raggiunto la celebrità negli anni ’60 e ’70 e che ha anticipato i tempi, riuscendo a tenere testa al suo compagno, una rockstar del calibro di Keith Richards.


Catching Fire: The Story of Anita Pallenberg, diretto da Alexis Bloom e Svetlana Zill, e prodotto dal figlio di Keith Richards e Anita, Marlon Richards, documentario alla Festa del Cinema di Roma, si basa sulle sue memorie mai pubblicate.

Dice il produttore: “Lei non era parte dei Rolling Stones e nemmeno voleva esserlo, alla fine lo trovava noioso e la metteva in ombra come persona. Così la facciamo emergere. Mia figlia ha trovato in un cassetto il documento iniziale, di circa 200 pagine, ma lì per lì non l’abbiamo preso sul serio. Mia madre era un’accumulatrice, quindi sono seguiti nastri e interviste degli anni Novanta, allora abbiamo capito che si poteva fare un documentario. Ho dovuto bere molto vino per riuscire a leggere tutto, c’erano molte informazioni che poi magari non sono finite nel documentario ma l’esperienza emotiva è stata molto forte”.

Nel film emerge forte la figura di Richards senior, spesso ingombrante, tanto da arrivare al punto di pagare la compagna per ottenere che non lavorasse: “No, le cose vanno così quando c’è una rockstar in famiglia. C’è una differenza di potere con quelli che non lo sono. Non puoi cancellare il fatto che uno sia famoso e l’altra no. Sono stati insieme per molto tempo e hanno costruito un equilibrio, ma non porto rancore a mio padre, è il suo modo di essere. E poi sono cambiati i tempi, era veramente molto tempo fa, erano tutti più liberi… ora sembra quasi irreale”.

“Siamo entrate nel progetto in una fase iniziale – commentano le registe – il lavoro è stato ottimo. Marlon ci ha dato i materiali e tanta fiducia, ci siamo conosciuti man mano prima di decidere di lavorare veramente insieme, ma soprattutto ci ha dato la libertà di fare ciò che volevamo con questi materiali. Marlon ci ha sostenuto tantissimo, aveva ottime buone idee. Noi viviamo a New York, lui nella campagna inglese, quindi le prime fasi di studio sono state lunghe, ma abbiamo sempre comunicato. Guardavamo i materiali, leggevamo le memorie, un paio di mesi sono andati così, commentando su ciò che ci colpiva o ci commuoveva, e abbiamo preso appunti.   Siamo nerd musicali, adoravamo i Rolling Stones, conoscevamo Anita, ma non in maniera approfondita. Conoscere la storia dal suo punto di vista era fondamentale. Lei era interessata alla cultura, alla musica, alla letteratura, alle esperienze. Voleva recitare, certo, ma perché le piaceva, non per nutrire il suo ego. Oggi è tutto diverso, attraverso i social tutti possono coltivare un’idea di celebrità. Oggi nessuno più si sveglia nell’appartamento di qualcun altro senza sapere come ci sia finito”.

Commenta ancora Richards junior: “Lei era quella che nei Rolling Stones portava la cultura, coltivava un’atmosfera, portava persone dai salotti, dalla Francia, dal cinema”.

E ancora Bloom: “senza contare il cibo. Proponeva cose nuova, faceva provare la pasta a chi non l’aveva mai provata. Addirittura dicono che sia stata lei a presentare Marianne Faithful ai figli dell’aristocrazia, superando anche le differenze di classe. Lei sapeva muoversi sia nel mondo dell’alta società che nel mondo dei diseredati. Ha tolto agli Stones la patina di superficialità e gli ha fatto conoscere cose che non avrebbero altrimenti mai conosciuto. Li ha portati fuori dal provincialismo”.

Tra le altre cose, Pallenberg è nata a Roma: “E non le piaceva la scuola – aggiunge il figlio – ma non ha poi frequentato tanto l’Italia. Le piaceva tornare a Roma ma non se la sentiva di viverci. A Londra si sentiva più esotica”.

20 Ottobre 2023

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