Aniello Arena può finalmente partecipare al Reality… Il film di Matteo Garrone di cui è protagonista nel ruolo di Luciano, pescivendolo napoletano che all’ossessione del Grande Fratello sacrifica tutto in un vortice di illusioni che bordeggia la follia, è costruito su di lui, ma lui non era a Cannes, quando è arrivato il Grand Prix, anche se il regista l’ha subito chiamato al telefono per dargli la notizia inaspettata. Ora invece ha avuto una licenza dal Carcere di Volterra ed è venuto a Roma, all’affollata conferenza stampa che prelude all’uscita nelle sale in 350 copie dal 28 settembre della pellicola, molto venduta all’estero anche grazie al passaggio al Festival di Toronto.
“Aniello – racconta Garrone – da 12 anni è uno degli attori più importanti della Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, lo conoscevo, ero andato molte volte a Volterra anche insieme a mio padre Nico, critico teatrale, a vederlo. Lo volevo già in Gomorra, ma il magistrato all’epoca non aveva dato parere favorevole. Stavolta invece sì”. Per Reality, scritto con Maurizio Braucci, Massimo Gaudioso e Ugo Chiti, serviva un attore così. Che avesse quel misto di ingenuità e angoscia negli occhi, purezza e alienazione. Per dare cuore a questa storia corale (tra i tanti interpreti spicca l’amico Nando Paone) girata in sequenza, scena dopo scena, proprio come a teatro. “Così il personaggio cresce e diventa tuo, passo passo”, spiega Aniello. Napoletano, classe 1968, la stessa del regista romano, sente di condividere con Luciano la simpatia, meno la cupezza che ha però sentito crescere dentro di sé via via che la storia procedeva. “Il teatro con Punzo – racconta – non è stato solo crescita artistica ma anche crescita interiore, un percorso mentale che mi ha portato a mettermi in discussione. Armando ti fa scattare qualcosa dentro: non siamo solo detenuti, siamo anche altro”. Eppure i detenuti attori sono diventati un valore aggiunto del cinema italiano – e bisognerà capire perché – però Aniello, che sta scontando un ergastolo per reati di camorra, non ha visto Cesare deve morire e non può dire nulla su quell’altro film.
Garrone sottolinea che non c’è distacco rispetto al mondo raccontato in Reality, con toni che dalla commedia all’italiana (tra i modelli Bellissima, La ricotta e, a sorpresa, L’inquilino del terzo piano) scivolano nell’incubo. “Non mi prendo gioco dei personaggi, l’ossessione della popolarità ci riguarda tutti nella società dei consumi. Ognuno di noi può restare intrappolato nel sogno di paradisi artificiali, la classe sociale non c’entra. Per un regista la lusinga può essere Hollywood. Io, dopo Gomorra, con tante proposte, ho preferito restare in Italia e dedicarmi a questo piccolo racconto ispirato a una storia accaduta. Volevo ritrovare la libertà e la leggerezza di Estate romana“.
Il piccolo racconto è diventato fiaba – adesso la favola sembra dominare l’immaginario, vedi anche Bella addormentata – con molti riferimenti espliciti a Pinocchio. Ma è come se Pinocchio incontrasse Totò. E Totò è tra i miti di Aniello. “Insieme a Massimo Troisi, De Niro e Pacino”, come spiega. Invece non guarda i reality in tv. “In carcere c’è solo la televisione e qualche Grande Fratello l’ho visto, ma io preferisco film e documentari”.
Adesso Matteo pensa anche all’Oscar. “Per ora siamo nella lista di dieci film papabili, vedremo. Sarei un ipocrita a dire che non mi interessa, ma so che in tutti i premi c’è una componente di casualità. L’ho visto anche in giuria a Venezia… Bisogna incontrare dei giurati che siano in sintonia col proprio gusto”, spiega il regista. Che sembra, per fortuna, aver dimenticato le polemiche di pochi giorni fa sul verdetto di Michael Mann. Dice di attendere soprattutto il giudizio del pubblico. “E’ la cosa più importante, anche perché Reality è un film su tutti noi, su quello che siamo diventati”.
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