Angela Prudenzi


L’universo dei festival italiani è in subbuglio. A scatenare dubbi, perplessità e incertezze è stata la decisione del Ministero di abbassare il tetto del finanziamento statale dal 70 al 50% massimo. La rivoluzione prenderà il via nel 2003, insieme a un’altra novità che prevede la distinzione dei festival in eventi locali o nazionali. Per Angela Prudenzi, membro del comitato scientifico del Festival di Pesaro, non è ancora il caso di farsi prendere dal panico.

Che cosa cambierà per le manifestazioni cinematografiche con queste nuove regole?
Per quest’anno niente. Siamo ancora nella fase sperimentale e bisogna definire bene i criteri. Per i prossimi anni, invece, staremo a vedere. Ma nella sostanza il Ministero è stato chiarissimo: dobbiamo aspettarci una restrizione dei finanziamenti.

Come mai questa decisione dello Stato di stringere i cordoni della borsa?
In Italia, festival, rassegne e mostre varie si sono moltiplicate negli anni, insieme a una gestione dei finanziamenti di manica larga. Per questo capisco che il Ministero abbia deciso di cambiare rotta. In linea di principio è anche giusto pensare che se un festival vale può cercare altrove dei sostenitori, sia tra i privati che tra gli enti locali. D’altra parte ci sono delle eccezioni, come il Festival di Pesaro, che ha una tradizione e programmi rigorosi, ma che non è un prodotto appetibile sul mercato.

Il Ministero ha anche deciso di sostenere non più di venticinque festival l’anno, dividendo le manifestazioni in locali e nazionali. Non c’è il rischio di un marchio di serie A e uno di serie B?
Rossana Rummo ha detto a chiare lettere che non sarà così, ma io non ne sarei tanto sicura. Poniamo il caso di un festival che venga giudicato come un evento locale. È evidente che quando andrà a chiedere una sponsorizzazione, potrebbe sentirsi rispondere che se lo Stato non è disposto a investire sulla manifestazione, nemmeno un privato o un ente locale è disposto a rischiare dei soldi.

Il rischio maggiore, insomma, lo corrono i piccoli?
Certo sono loro a pagare per primi le spese di questi cambiamenti. D’altronde questa è la linea che sta prevalendo anche in Europa: la Commissione ha già detto che non ha alcuna intenzione di frammentare i finanziamenti in una miriade di piccole iniziative.

C’è una via d’uscita?
L’unica soluzione mi sembra quella di creare una serie di consorzi. Le alleanze tra festival minori che abbiano programmi e interessi simili, mi sembra l’unica strategia vincente.

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26 Gennaio 2001

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