VENEZIA – Una messinscena sontuosa, che smonta le immagini celebri di una delle icone del XX secolo, insieme a Elvis e Topolino, per ripensarle all’interno di una dialettica precisa, quella tra Norma Jeane e Marilyn. La prima è, e resterà per sempre, la bambina senza padre, in balia di una madre alcolizzata e instabile (Julianne Nicholson) che ben presto finirà in ospedale psichiatrico lasciandola completamente sola al mondo. Marilyn Monroe invece è pura invenzione, spumeggiante, solare, capelli biondo platino, bocca a cuore, diventerà l’oggetto del desiderio di tutti, assediata dai flash e dai fans (un mare che sembra sempre sul punto di travolgerla), star del cinema e delle copertine ma anche facile preda di uomini che la cannibalizzano, dal primo produttore che le impone un rapporto sessuale al presidente Kennedy che vediamo in una scena particolarmente disturbante incitarla a una prestazione orale mentre lui parla al telefono proprio della sua tendenza al libertinaggio.
Picchiata dal primo marito Joe DiMaggio (Bobby Cannavale), amata da Arthur Miller (Adrien Brody) ma forse non del tutto capita e apprezzata per la sua intelligenza, coinvolta in un triangolo morboso e adolescenziale con Charlie Chaplin jr e Edward G. Robinson jr., la donna raccontata dal film di Andrew Dominik, in concorso a Venezia 79 e su Netflix dal 28 settembre in Italia (mentre negli Usa uscirà anche al cinema sia pure con un rating), nasce dalla lettura del romanzo femminista di Joyce Carol Oates e da una forte identificazione della protagonista Ana de Armas, l’attrice cubana che si è sottoposta a tre ore di trucco per i 47 giorni di riprese ma soprattutto che ha cercato di restituire l’intimo di Norma Jeane al punto da percepire il suo fantasma sul set (come raccontiamo in un articolo a parte).
Dominik, che torna a Venezia dopo L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007, Coppa Volpi per Brad Pitt), conferma il suo talento visivo, uno stile virtuosistico, ridondante, a tratti barocco, per le quasi tre ore di durata con la scena ricorrente di un feto che galleggia nel liquido amniotico, alla Terrence Malick. Non mancano le citazioni e rivisitazioni anche caricaturali dei film di Marilyn, da Gli uomini preferiscono le bionde a Quando la moglie è in vacanza al cult A qualcuno piace caldo. Tra i possibili paragoni, viene in mente Spencer di Pablo Larrain per l’empatia verso una figura femminile, in quel caso Lady D., stritolata da ingranaggi inarrestabili e spietati, quasi vittima sacrificale.
Condivide anche lei la sensazione che Marilyn fosse sul set con voi, Dominik?
Sì, con Ana siamo andati anche sulla sua tomba. Abbiamo girato nella stanza dove è morta, e alla fine delle riprese mi sono steso sul letto per dieci minuti e ho sentito il suo spirito e la sua profonda disperazione. Ho avuto una relazione con lei, con Norma Jeane. Non con il personaggio Marilyn. Sono sempre state due persone e questo film lo mostra. Tra l’altro le riprese sono cominciate il 4 agosto 2019, proprio nell’anniversario della sua morte. Ma non è stata una cosa voluta, è avvenuto per caso.
Ci sono così tante rappresentazioni di Marilyn, nell’arte, nel cinema, nella letteratura. Cosa ha cercato di evitare?
Il mio film, come tutte le altre rappresentazioni, non è originale ma frutto della fantasia e in fondo di un tentativo di salvarla.
Perché abbiamo tanto bisogno di lei?
Perché è un simbolo di sorellanza, i suoi sentimenti non sono stati compresi, era fraintesa, presa per matta, come tante altre donne. La morte di una ragazza bella e giovane, nel pieno degli anni, è qualcosa di sconvolgente. E lei era la dea americana dell’amore, una Afrodite. Era bellissima, famosa, aveva tanti uomini, tutte cose desiderabili, eppure c’era qualcosa di sbagliato.
Il #MeToo l’avrebbe aiutata?
Sicuramente, ma non c’era all’epoca.
Cosa la avvicina personalmente a Marilyn?
Per me lei è la fantasia della donna che porto dentro di me, l’anima junghiana, che è diversa dalla persona reale. In qualche modo la amo. C’è la Marilyn di Joyce Carol Oates, c’è la Marilyn di Ana, c’è un mèlange di diverse cose. L’unico che l’aveva conosciuta veramente è stato Truman Capote che ha scritto il racconto A Beautiful Child dove descrive un pomeriggio passato con lei e ci dice che era straordinaria.
Cosa pensa a proposito della sua morte?
È assai probabile che sia stato un cocktail di farmaci, un’overdose accidentale, ma certamente legata al suo lato autodistruttivo, quasi un suicidio. Non mi sembra probabile la tesi dell’omicidio, potrei parlarne a lungo, ma lasciamo stare.
Perché ha scelto Ana, dopo aver rinunciato a Naomi Watts?
Avevo visto Ana in un film tv, Knock Knock di Eli Roth e per me è stata subito Marilyn. Aveva la stessa faccia, lo stesso naso, gli stessi occhi, gli stessi zigomi, ma soprattutto la stessa luce. Ha solo dovuto lavorare sull’accento, essendo spagnola.
Ha rappresentato il presidente Kennedy in una scena molto cruda, squallida.
È una finzione, un punto di vista. Per me in Blonde la relazione è tra lo spettatore e Norma, non ci interessano gli altri personaggi. Il film non vuole essere equo con nessuno. E’ come dire che noi siamo gli unici che la capiamo. Poi, comunque, quella scena era nel libro.
E il personaggio del figlio di Chaplin?
Ripeto, il film non è una biografia, non cerca la precisione storica. Effettivamente Marilyn ha incontrato sia Chaplin jr che Edward G. Robinson jr, ma non insieme e non in quella fase della sua vita.
Ha collaborato con Joyce Carol Oates?
Mai incontrata, ci siamo parlati diverse volte per telefono. Le ho inviato la sceneggiatura, l’ha letta, abbiamo avuto un paio di conversazioni. Le ho fatto vedere il film. La rispetto molto perché è una grande scrittrice, ma la nostra non è una collaborazione creativa.
Cosa pensa del divieto ai minori di 17 anni?
Se fosse un film per le sale avrei qualche problema anche perché non credo che il divieto sia meritato e poi crea false aspettative. Ma tanto sarà su Netflix dove ognuno guarda quello che vuole.
Come si è rapportato a un cult come A qualcuno piace caldo? Sente di averlo dissacrato mostrando quanto Marilyn soffrisse su quel set?
E’ un grande film e trovo divertente aver trasformato una delle migliori commedie americane in una specie di horror. Ma sono convinto che chi vede A qualcuno piace caldo continuerà a non pensare a Blonde.
Come ha usato l’alternanza tra bianco e nero e colore? Rispecchia le due diverse anime di Marilyn?
L’idea era ricreare le immagini arcinote, scene di film o anche fotografie, e il bianco e nero fa parte di queste immagini. Volevo cambiare o ribaltare il significato delle immagini iconiche, per esempio Bye Bye Baby diventa una canzone sull’aborto.
Marilyn ebbe 14 aborti. Il suo più grande dolore fu non poter avere figli.
Era una bambina non voluta che voleva un bambino a tutti i costi per guarire se stessa e risolvere il trauma della sua infanzia. Ma la sua esperienza della maternità era legata a sua madre che la aveva distrutta ed era finita in ospedale psichiatrico. Quindi è chiaro che fosse molto ambivalente, era terrorizzata. Il tema della maternità è centrale in questo racconto.
Che produttore è stato Brad Pitt?
E’ il miglior amico che ho tra i cineasti. Sono fortunato perché si è impegnato molto per Blonde, senza di lui il film non ci sarebbe stato.
Cosa vuol dire essere un oggetto del desiderio?
E’ una cosa pericolosa. Molte icone hanno fatto una brutta fine. Quando sei famoso entri nel subconscio degli altri e diventi una proiezione, una fantasia. Ma quanti divi si sono suicidati o sono morti di overdose. Magari c’è anche qualcuno che se la vive bene, ma non è facile.
E' possibile iscriversi per team di nazionalità italiana composti da registi alla loro opera prima o seconda, associati a produttori che abbiano realizzato almeno tre audiovisivi
"Il cinema italiano ne esce bene. E anche Netflix". Bilancio di fine Mostra per il direttore Alberto Barbera e il presidente Roberto Cicutto. Si registra un +6% di biglietti venduti rispetto al 2019. Tra i temi toccati anche il Leone del futuro ad Alice Diop, documentarista attiva da più di dieci anni
Abbiamo incontrato il regista Leone d’argento – Miglior Regia: “Non penso sia un film horror ma una storia d’amore, come non credo che L’Esorcista non sia un horror ma un film bergmaniano fatto a Hollywood”. Bones and All esce in Italia – e nel mondo – dal 23 novembre
A volte i veri protagonisti sono gli assenti, come il regista dissidente Jafar Panahi, imprigionato da ormai due mesi, a cui Luca Guadagnino e Laura Poitras dedicano i loro premi