Italia. Anno 2052. Una macchina, con a bordo padre, madre e figlia di origine medio orientale e il fidanzato italiano della figlia, viaggia di notte per le strade desolate, quando viene fermata da una volante della polizia. L’agente, chiedendo patente e libretto al capofamiglia alla guida, inizia ad usare toni intimidatori e razzisti. Al controllo dei dati tutto è in ordine, ma l’uomo ha superato i limiti di velocità e per questo deve essere giustiziato. Il cortometraggio scritto e diretto da Andrea Viggiano, Europa ’52, nasce da una serie di suggestioni, oniriche e politiche, con un titolo che è un omaggio a Europa ’51 di Roberto Rossellini.
Il giovane regista, nato e cresciuto a Mestre, 22 anni, laureato in Economia e commercio all’università Ca’ Foscari di Venezia, e con il sogno di entrare al Centro sperimentale di cinematografia, spiega a CinecittàNews qual è la stata l’ispirazione per questa storia di inspiegabile violenza e abuso di potere. Il corto, distribuito da Associak, ha già vinto diversi riconoscimenti, dall’Airone d’oro alla 73esima edizione dell’Italia Film Fedic, la Mostra del Cinema di Montecatini, al premio alla regia Mario Monicelli al Noto International Film Festival.
Andrea, com’è nata l’idea di Europa ’52?
Da diverse suggestioni. Intanto, ho sempre avuto la passione per il genere dei poliziotteschi. Ma il corto nasce soprattutto da un’ispirazione onirica. C’è stato un periodo della mia vita in cui sognavo dei poliziotti che mi inseguivano, pedinavano e usavano delle maniere forti. Va detto che non ho mai avuto problemi con le forze dell’ordine, né traumi infantili, ma questi incubi sono stati ricorrenti. C’è inoltre un’ispirazione politica. In un preciso momento della storia recente, nel 2018, agli Interni c’era Matteo Salvini, che decise di chiudere i porti italiani, e quel caso fu sotto i riflettori dei media. Mettendo insieme queste suggestioni è nato Europa 52. C’è voluto del tempo prima di capire che volevo realizzare il corto. Un tempo di maturazione personale e cinematografica, per avere una visione chiara delle cose.
Il titolo non può non far pensare a Europa ’51 di Rossellini.
Si tratta di puro citazionismo. Non c’è alcun riferimento ai temi o allo stile di quel film. Ma il corto si avvicina alla visione di Rossellini di girare con pochi mezzi, troupe al minino e con attori in parte non professionisti.
Certo il corto non è affatto rassicurante e ha una visione cupa del mondo che sarà.
Sicuramente non è un film che lancia un messaggio di speranza. Ma neanche volevo dare una visione di puro pessimismo o terrore, e neppure lanciare un monito. Il corto è un’iperbole di una società italiana che sta andando alla deriva. Può portarci a riflettere su fino a dove ci spingeremo e fino a quando rimarremo indifferenti a certe situazioni che un tempo venivano criticate con molta più asprezza, mentre oggi mi sembra che siano meno sotto l’attenzione dell’opinione pubblica.
Hai iniziato da poco il tuo percorso nel mondo del cinema. Quanto è difficile emergere come regista?
Non è semplice. La strada è lunga, faticosa e per nulla certa. L’obiettivo è riuscire a emergere, ma so che non ci vuole solo talento, ma anche perseveranza. Io ho voglia di portare avanti i miei progetti, cercando di crescere nel tempo. Poi vediamo il destino dove mi porterà, non voglio darmi dalle scadenze. Sono soddisfatto intanto dei risultati che Europa ’52 ha ottenuto fino ad oggi, in giro nei festival italiani. Ora sto seguendo la post-produzione di un altro corto che ho realizzato, Non sposatevi mai, ispirato a un episodio di un film di Lina Wertmüller.
La passione per il cinema quando nasce?
Da ragazzino, grazie a delle professoresse illuminate che mi hanno avvicinato a quest’arte. Poi da solo ho portato avanti questa passione, andavo al cinema o passavo le ore davanti al mio proiettore a casa. Ho visto migliaia di film.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Amo i classici registi come Leone, Fellini, Kubrick e Tarantino. Mi piacciono molto anche gli autori del cinema muto come Murnau, Jean Epstein, Abel Gance, alcuni di loro andrebbero riscoperti. I miei corti sono molto verbosi, e sembrano non c’entrare nulla con quel tipo di film, Ma io mi sento molto vicino a quel cinema. Anche io lavoro sul non detto, sugli accenni e sulle sensazioni.
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