E’ al suo primo lungometraggio per il cinema. E per arrivare a dirigere Il fuggiasco, Andrea Manni ha inseguito i diritti del romanzo omonimo e l’autore Massimo Carlotto fin dal 1995. “Non conoscevo Massimo, l’ho contattato subito dopo aver letto il suo libro. All’inizio avevamo scritto insieme la sceneggiatura de La verità dell’alligatore, poi abbiamo incontrato problemi per i diritti e così abbiamo optato per Il fuggiasco“. Il film, coprodotto da Feelmax e Rai Cinema con il contributo del Ministero dei beni culturali, in questi giorni è in cabina di montaggio. “Ho un premontato di quasi tutto il film – racconta il regista – poi io e la mia troupe ci sposteremo a Città del Messico per una settimana: lì effettueremo le ultime riprese”. Il fuggiasco, pronto per la prima settimana di febbraio, ha per protagonista Daniele Liotti affiancato dal bravo Alessandro Benvenuti e Joaquin De Almeida. “Spero di riuscire a presentare il film ai selezionatori di Cannes”, racconta il regista.
La lunga vicenda giudiziaria e la latitanza di Massimo Carlotto è nota. Invece cosa l’ha spinta a realizzare un film dal libro?
La leggerezza, il disincanto con cui l’autore è riuscito a raccontare una vicenda umana estremamente dolorosa e molto forte sul piano emotivo. Naturalmente il film sarà più esaustivo nei confronti della storia di Massimo. Nel racconto, che parte dalla fine della latitanza e procede a ritroso, l’autore non si è soffermato su elementi concreti d’informazione. Io invece li evidenzierò e li renderò più chiari allo spettatore.
Tra le dichiarazioni rilasciate da Carlotto alla stampa una colpisce subito. Lo scrittore ha affermato che se nel ’93 non gli fosse stata concessa la grazia, sotto indicazione dell’allora Ministro di grazia e giustizia Conso, non avrebbe più potuto continuare a vivere.
Massimo Carlotto era fisicamente incompatibile con il regime carcerario: ha avuto due, tre sospensioni della pena per motivi di salute e si è ammalato di bulimia. Nella sceneggiatura si parla di “due etti di burro per ogni litro di sangue” cioè di parametri metabolici anormali e di un colesterolo altissimo. Poi ci sono episodi di anoressia. Mi sono avvalso della consulenza di alcuni medici per sviluppare questo aspetto. Massimo è stato accusato di omicidio quando era ancora un ragazzino, aveva appena 19 anni e conosceva poco della vita. E la sua odissea è durata altrettanti anni. La vita gli ha insegnato la diffidenza, la pazienza, la riservatezza e una grandissima dignità.
In quali carceri ha girato?
Nessuna. Non ce l’ho fatta: ogni volta che andavo a visitare un carcere sentivo l’angoscia crescere. Per l’ansia, all’uscita dall’istituto di pena di Padova, nonostante la guardia mi avesse aperto la porta, non sono riuscito a farla scattare. Il direttore mi ha detto ridendo: “se tutti fossero come voi, noi qui non dovremmo preoccuparci di nulla”. Appena ho rivisto il sole mi sono trovato davanti uno con le manette che percorreva il viale al contrario. Dopo quell’episodio ho deciso di ricostruire gli ambienti: un penitenziario è stato ricreato nel velodromo di Padova.
Carlotto è “il fuggiasco” dai suoi 19 ai 36 anni. Come ha lavorato Daniele Liotti su questo lungo arco temporale?
I diciotto anni di Carlotto durano molto poco nel film. Cercavo un attore che riuscisse a lavorare sul passaggio dai 20 ai 30 anni e Liotti era perfetto. Daniele ha lavorato sulle varie trasformazioni di Massimo. Lo scrittore, durante gli anni della latitanza, si traveste e assume varie identità. Nel libro ce ne sono tante, nel film invece quattro tra le quali ne evidenzio due: un alter ego è Bernard, perfetto impiegato francese molto rassicurante, l’altro è Josè, un opposto che lavora in un cinema porno.
Carlotto, attraverso incontri con esuli politici, ha potuto conoscere la solidarietà umana.
E’ un elemento fondamentale della sua vicenda. Nel film ci sarà Lolo (Joaquin De Almeida), un esule cileno realmente esistito ma anche un’icona di tutti gli esiliati che lo scrittore ha incontrato e dai quali ha appreso la capacità di sopravvivenza. Carlotto, nato in una cittadina come Padova, durante gli anni della latitanza impara a imparare. Non è un esule politico e non è neanche un criminale: è impacciato e disorganizzato. Quando arriva a Parigi, gli viene consigliato di stare lontano dalla comunità italiana. Gli esuli italiani provenivano per la maggior parte da vicende legate al terrorismo, dunque venivano controllati dalla polizia e a loro modo protetti dalla legislazione francese. Massimo invece rischiava di venire riacciuffato in qualsiasi momento. Così ha frequentato ed è stato aiutato da esuli iraniani, greci, sudamericani.
Altre differenze con la vicenda reale?
Carlotto ha avuto tantissimi avvocati, ma nel film ce ne sarà uno solo, interpretato da Alessandro Benvenuti.
Lo scrittore, tornato in Italia nell’85, ha scoperto che non era stato spiccato un mandato di cattura internazionale: nessuno lo cercava.
Massimo è stato costretto a rimpatriare perché un avvocato messicano, che doveva fornirgli dei nuovi documenti, l’ha venduto per pochi dollari. Se nessuno dall’Italia lo cercava voleva dire che più lui stava lontano dal nostro Paese e meglio era per qualcun altro. E oggi nessuno cerca il vero assassino.
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