Ancora guerrieri

Lee Tamahori prosegue l'analisi antropologica del popolo maori dopo il colonialismo, iniziata con 'Once Were Warriors', in Mahana-The Patriarch, fuori concorso a Berlino


Nel 1994 Lee Tamahori raccontò in Once Were Warriors, in maniera brutale e realistica, le condizioni di degrado di molte famiglie disagiate residenti nella periferi adi Auckland, in Nuova Zelanda, la maggior parte delle quali di etnia māori, segnate da un destino di alcolismo e ghettizzazione, relegati in fatiscenti periferie, lasciati soli a incattivirsi e a sbranarsi l’un l’altro. Costretti a sfogare nella violenza la loro natura guerresca, che la civilizzazione coatta che sono stati costretti a subire non ha potuto cancellare.

 Oggi a Berlino tornano il regista e il protagonista Temuera Morrison – poi diventato celebre a Hollywood per il ruolo di Jango Fett in Star Wars – per proseguire in qualche modo quel cammino (anche se un sequel ufficiale di Once Were Warriors era uscito già nel 1996, con un’altra regia e molto meno successo) in Mahana – The Patriarch, storia di un capofamiglia violento e taciturno che lotta per tenere coeso il suo gruppo, in un’ambientazione ‘post-western’ tra allevamenti di pecore e irte montagne. Il suo giovane nipote, acculturato e amante dei film di John Ford, vuole affrancarsi da tutto questo, ma suo nonno è invece fermo nei suoi propositi di mantenimento delle tradizioni, comprese antiche e rigide faide con altri gruppi familiari. Ne emerge una tensione drammatica notevole: “Mio padre era così – dice Tamahori – a tavola non diceva una parola, credeva nell’azione, si assicurava soprattutto della coesione della famiglia. Il personaggio del patriarca è anche sfumato.

E’ violento ma si capiscono le ragioni della sua violenza. I capofamiglia hanno dovuto irrigidirsi per resistere all’invasione all’ondata di nuovi costumi che ha influito anche culturalmente sui gruppi tradizionali. Ma è anche sensibile, come quando parla ai suoi morti o a suo figlio. Nel romanzo da cui il film è tratto c’erano anche elementi di realismo magico, noi abbiamo sorvolato, mostrando solo gli aspetti rituali come le danze e i luoghi di incontro comunitario più significativi”.

 “La nostra tradizione – spiega Morrison – è incentrata sul matriarcato. I nostri proverbi insegnano che la Terra sopravvive al Cielo e che le donne sopravvivranno agli uomini. Ma la società è cambiata nel momento della colonizzazione, e questo ha creato un trauma. Sono stato ispirato fortemente dal libro che è una fonte di materiale formidabile”.

“Amo i western – dice ancora Tamahori – e mi piacerebbe un giorno farne uno. Sono sicuro che siano la miglior forma di spettacolo ‘morale’, strutturato in maniera semplice: i buoni, i cattivi, i ricchi, i poveri. Il mio film non è esattamente così però condivide col western questo schema e anche i paesaggi. Del resto negli anni ’50 e ’60 il western era una grande fonte di ispirazione per queste famiglie: si vestivano come cowboy e portavano gli stivali, proprio su ispirazione dei film statunitensi che arrivavano in quel periodo”.

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