Un produttore cosmopolita, dallo spirito movimentista” in grado di contrastare limpero hollywoodiano”, paragonabile per questo a pochissimi altri in Europa.
Le citazioni sono rubate dal catalogo della rassegna Amedeo Pagani: film dopo film” (15-29 aprile 2002), organizzata al Filmstudio di Roma da Americo Sbardella e Irene Ranzato.
In programma 23 pellicole prodotte, co-prodotte e distribuite da Pagani tra cui molte italiane: da Il frullo del passero di Gianfranco Mingozzi a Garage Olimpo e Figli/Hijos di Marco Bechis fino a Tornando a casa di Vincenzo Marra e Incantesimo napoletano di Paolo Genovese e Luca Miniero.
E poi Altman, Angelopoulos, Kitano, Kar Wai, Ullman e molti altri protagonisti della cinematografia mondiale.
Pagani, levento al Filmstudio è piuttosto singolare: di solito le rassegne sono dedicate ai registi?
Quella del Filmstudio è unoccasione per superare il feticismo del regista tipica del nostro paese. Un’idolatria danteguerra che impedisce di approfondire il lavoro di tutti coloro che partecipano attivamente alla creazione delle pellicole: sceneggiatori, montatori, musicisti e, ovvio, i produttori.
Il critico Fabio Ferzetti ha scritto che le tue scelte produttive esprimono una politica dello spaesamento”. Sei daccordo?
Quella di Fabio è una curiosa fotografia dellesistente, ma non ho mai avuto lobiettivo di spaesare. Alla base della mia attività cè una forte curiosità verso il resto del mondo, ma soprattutto la voglia di fare film con i filmaker che amo di più. Così mi sono legato a molti registi eccentrici rispetto al mondo produttivo romano. Del resto, la non uniformità è un pregio. Spesso la critica militante ha rimproverato a Pietro Germi di essere discontinuo, ma trovo che ci sia una grande forza nel rimanere se stessi raccontando storie diverse. Ciò vale anche per i produttori.
Qual è il film che rimpiangi di non aver prodotto?
Dust di Milcho Manchevski. Dopo aver lavorato al progetto per più di un anno ho rinunciato. Poi il film non è venuto come lo sognavo, quindi forse è stato meglio così. Ma spero di avere unaltra occasione per lavorare con Milcho, un regista straordinario.
E quali sono le tue produzioni più amate?
Forse quelle più difficili da realizzare, le più carnali. I film di Theo Angelopoulos: Paesaggio nella nebbia per la sua tenerezza e Lo sguardo di Ulisse perché è stato girato nel corso della guerra nella ex Jugoslavia tra mille vicissitudini a cui si è aggiunto il dolore per la morte di Gian Maria Volontè. Poi Garage Olimpo: il ritorno a Buenos Aires per le riprese è stato una sorta di psicodramma catartico molto sofferto perché Marco Bechis aveva vissuto in prima persona le esperienze durissime descritte nel film.
Va cambiata la legge sul cinema?
Indubbiamente la legislazione italiana è inadeguata. La legge del 1994 ha prodotto dei buoni risultati ma ora va cambiata, forse ne abbiamo fatto un cattivo uso. LApi, associazione di cui faccio parte, ha elaborato alcune proposte che sembra siano state accolte dal nuovo progetto legislativo. Eccone alcune: ridurre al 50% i finanziamenti pubblici per i film di interesse culturale nazionale e obbligare i produttori a trovare altri partner europei per il restante 50%. Introdurre la tax shelter e lobbligo per la tv di tener fede allimpegno di trasmissione dei film. Inoltre è preoccupante la crisi di Tele + e le contraddizioni della Rai che non compra più film per il prime time. Lunico paese europeo che davvero protegge il proprio cinema è la Francia che, a differenza dellItalia, riesce anche a esportare le sue pellicole.
Dunque la coproduzione è la chiave di volta del cinema europeo?
Da sempre la coproduzione è la mia formula. Nessun mercato nazionale può reggere limpatto dellinvestimento produttivo senza la suddivisione dei rischi. Coprodurre offre un doppio vantaggio: alleggerisce il peso degli investimenti e dà la garanzia della distribuzione del film in tutti i paesi partecipanti.
37 opere prime italiane nel 2001. Come valuti questo dato?
Gli esordi non sono mai troppi ma qualche volta sono fini a se stessi. In Italia è necessario riscoprire il lavoro di bottega ovvero quella pratica, molto diffusa ai miei tempi, per cui i più giovani imparano con umiltà a seguire tutte le fasi della lavorazione di un film, ad appropriarsi di quei segreti che tanti vecchi artigiani del cinema conoscono perfettamente e sarebbero felici di trasmettere.
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