ROMA. “Quando il regista mi ha proposto il ruolo di una nonna, non mi aspettavo un personaggio svampito, un po’ mitomane, che si diverte tutto il tempo, tra champagne e in giro la notte per Roma, pur trovandosi in situazioni difficili e complicate”. Così l’attrice francese Amanda Lear parla del personaggio di Lulù di Metti una notte, esordio nel lungometraggio di finzione di Cosimo Messeri (in Panorama+16 – Alice nella città) che è anche il protagonista dell’opera prima.
Martino un giovane entomologo in crisi sentimentale, torna a Roma a trovare l’adorato zio (Elio Pandolfi) che subito gli chiede il favore di fare da babysitter alla figlia di alcuni amici (Flavia Mattei). Martino accetta ma scopre che deve occuparsi non solo della bambina ma anche di Lulù (Amanda Lear), un’eccentrica e imprevedibile nonna. Tutto si complica quando Martino s’imbatte in Tea (Elena Radonicich), un antico amore: la ragazza è in pericolo e gli chiede aiuto. Martino, entusiasta all’idea di poterla salvare, è costretto a portarsi dietro nonna e bambina, e la baysitter Gaia (Cristiana Capotondi), in una serie di avventure e disavventure, incontri e imprevisti, in una Roma notturna alla ricerca di un nuovo amore.
Metti una notte è un piccolo film low budget, tra il comico e l’ironico, che verrà distribuito in primavera. “Amo moltissimo il cinema di John Landis e quello di Charlie Chaplin. Da bambino mia madre per tenermi buono mi piazzava davanti alla tv con le videocassette di Keaton e Charlot – dice il regista – ma i programmi televisivi del pomeriggio mi erano vietati. Sono un fan dello slapstick che ha qualcosa di magico e a questo genere si è ispirata la prima sequenza del mio film”.
Per Amanda Lear si tratta di un ritorno sulla scena italiana dopo aver abbandonato dieci anni fa la tv nazionale fa, ora in Francia interpreta numerose commedie teatrali impegnate. E a proposito del caso Weinstein ricorda che “il cinema è un mondo meraviglioso, ma ora si parla solo di cose squallide, di attricette santarelline. Se un produttore di Hollywood ti dà appuntamento in una stanza d’albergo di che cosa ti meravigli, meglio accettarlo in una caffetteria”.
Duettare con Flavia Mattei, la piccola e disinvolta Linda, è stato semplice: “Di solito le bambine attrici mi fanno paura, perché rubano la scena, ma con Flavia è stato differente e poi lei è molto paziente”.
Per Cristiana Capotondi si tratta di un film elegante nella scrittura firmato da un 30enne degli anni Trenta. Anche per Elena Radonicich quella di Messeri è una comicità raffinata, che punta al nonsense e all’onirico.
La dedica a Carlo Mazzacurati e Paolo Poli? “Sono stati importanti nella mia vita – risponde Messeri – Diversi tra loro: Mazzacurati un veneto chiuso, Poli un fiorentino libertino e senza peli sulla lingua, ma con un’ironia comune. Hanno frequentato casa mia e forse meritavano un film più serio”.
Alla Festa di Roma Cosimo Messeri, figlio di Marco, nel cast del film, c’era già stato nel 2009 con The One Man Beatles, documentario che ripercorreva la breve e sfortunata carriera di una nascente star musicale della scena pop americana all’inizio degli anni ’70.
L’attore chiude gli incontri ravvicinati della Festa del Cinema di Roma, regalando risate e nostalgia e una chicca sul futuro: "Sarò il padre di Alessandro Gassman ne Il premio diretto da lui stesso. Lo conosco da quando era bambino e ora mi impressiona ritrovarlo regista, sicuro e determinato"
40mila presenze agli eventi organizzati a Casa Alice. Un successo per la sezione autonoma e parallela della Festa che ha già rinnovato per un biennio l'accordo con la Fondazione Cinema per Roma
Il regista, che ha ricevuto il Premio alla carriera da Paolo Sorrentino, ha incontrato il pubblico della Festa del Cinema, ricordando con particolare affetto l’incontro con Fellini. Lolita di Kubrick, Viale del tramonto di Billy Wilder, 8 ½ sono le tre opere cinematografiche che il regista americano ha usato per raccontarsi ancora più profondamente
Presentato alla Festa di Roma il documentario Ma l’amore c’entra?, dove la regista ha raccolto le testimonianze di tre uomini che hanno picchiato le mogli e che ora sono impegnati in un percorso terapeutico. Un documento di forte attualità che getta luce sulle radici antropologiche del femminicidio