Se ne è giustamente parlato in abbondanza: Nanni Moretti è a Cannes, in concorso, con il suo Papa in crisi, i suoi vescovi “giocherelloni” e un Vaticano mostrato come universo chiuso e impermeabile all’esterno. Insomma un’ampia riflessione sul nostro tempo e la nostra umanità che attinge dai luoghi e dai riti dei vertici di Santa Romana Chiesa.
E sulla Croisette ci sarà un altro film italiano che affonda il suo sguardo sulla religione, stavolta osservata “dal basso”. Dalle parrocchie, dalle strade e dai ragazzini in cammino verso la Cresima. E’ Corpo Celeste, sorprendente opera prima della 29enne Alice Rohrwacher (sorella della più nota Alba) che segue gli incerti passi di una tredicenne. Dopo dieci anni in Svizzera, la ragazzina torna nella natìa Reggio Calabria e si ritrova a seguire un corso di catechismo fondato su testi come “Chi vuol esser cresimato” o “L’isola dei cattolici”. Una ragazzina che cala come un’aliena in un pianeta dove il parroco Don Mario maneggia più la politica che la fede, con l’aiuto della catechista Santa e di fedeli acritici e accondiscendenti.
Prodotto dalla Tempesta di Carlo Cresto Dina e Rai Cinema con un budget inferiore al milione di euro e co-produttori svizzeri e francesi, Corpo Celeste passa oggi, 17 maggio alla Quinzaine des Réalisateurs – sezione su cui CinecittàNews realizzerà uno speciale quotidiano – e sarà nelle sale dal 27 maggio con Cinecittà Luce. La regista, felicissima di partecipare al festival francese, dove non è mai stata prima, ci ha raccontato i retroscena del film, interpretato da Anita Caprioli, Renato Carpentieri, Salvatore Cantalupo, dalla piccola esordiente Yile Vianello e da attori non professionisti.
Dove nasce lo spunto del film?
Avevo fatto solo qualche documentario quando ho incontrato il produttore Carlo Cresto Dina che mi ha chiesto di scrivere qualcosa per la sua neonata società Tempesta. Abbiamo ragionato su due o tre mondi da raccontare, poi abbiamo scelto quello della Chiesa e ho iniziato a documentarmi con una profonda attenzione. Avevo un “occhio pulito”, libero da pregiudizi, ma naturalmente dopo la ricerca e l’immersione in questo mondo ho preso una posizione, anche se ho cercato di giudicare il meno possibile.
Lei ha una formazione religiosa, cattolica? C’è qualcosa di autobiografico in questa storia?
No, affatto. Non ho avuto un’educazione religiosa e non ho ricordi, né positivi, né negativi rispetto a questo. Avevo però grande curiosità e interesse nello scoprire come funzionava il mondo delle parrocchie e trovavo importante scegliere per il mio primo film un argomento nuovo rispetto alla mia vita. Per documentarmi ho frequentato parrocchie, catechisti, riunioni, la giornata della gioventù e… la mia immaginazione non sarebbe mai arrivata a tanto. Ho trovato un totale vuoto di spirito, una realtà molto dura, straziante, che ho cercato di guardare con tenerezza.
La catechista Santa è un personaggio impressionante. Si è ispirata a qualcuno che ha incontrato?
Piuttosto a una summa dei catechisti che ho conosciuto. Persone sostanzialmente abbandonate a se stesse, inadeguate ma totalmente in buona fede, che seguono pedissequamente dei testi come “Saranno testimoni” senza alcuna riflessione. Anche quella di Don Mario è una figura tragica, vittima dello stesso abbandono di Santa; per questo si appoggia alla gerarchia e cerca di sostenere la sua posizione “vendendo” i voti dei suoi parrocchiani. Anche in questo ho fatto riferimento a persone reali.
Quindi anche le scene dei “registri elettorali” sono frutto di documentazione?
Sì, ho assistito a scene simili e so per certo che alcuni parroci si comportano da “primi elettori”. Raccolgono firme di persone che promettono un voto senza nemmeno sapere a che partito si riferisce, ma conoscendo solo il nome del politico. Tanto Roma è lontana, e in un paese che spesso amministra le cose pubbliche come fossero private questo funziona.
Corpo celeste non è solo un film sulla Chiesa, ma anche sul nostro paese e un suo particolare territorio.
Assolutamente sì. L’intenzione mia e del produttore era proprio quella di fotografare un presente, una realtà della nostra epoca nel Sud, in particolare Reggio Calabria, la grande periferia d’Italia.
Come ha scelto gli attori? La maggior parte sono non professionisti.
Volevo coinvolgere il più possibile la città, pur mantenendo una sicurezza con alcuni professionisti come la Caprioli, Cantalupo e Carpentieri. Quindi ho scelto degli attori non professionisti del luogo, come Santa/Pasqualina Scuncia, una signora di Cataforio. Il suo ruolo era delicatissimo, perché rischiava di essere una macchietta, ridicola e cattiva, ma Pasqualina – che non è Santa, ma è cresciuta con tante Santa intorno – aveva l’immaginario che le serviva, mentre Yile Vianello, la ragazzina, l’ho trovata in una comunità agricola autosufficiente dell’Appennino. L’avevo cercata a Reggio, ma non avevo trovato nessuna ragazzina con lo sguardo libero, solo tante piccole veline che passano direttamente dall’infanzia all’aggressività dei modelli televisivi.
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