Incontriamo Alfredo Pea, un attore italiano che ha iniziato la sua carriera come bambino–prodigio con Carlo Ponti (è presente in molti film con la Fenech, tra i quali L’insegnante). Ha recitato fino a oggi in più di 40 film, sia per il cinema che per la televisione. Ha lavorato con Monicelli in Caro Michele, e con Marco Tullio Giordana in Maledetti vi amerò. Lo ritroviamo in L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo, The Assisi underground di Alexander Ramati, in Strane storie di Sandro Baldoni, e in Segreto di stato di Giuseppe Ferrara.
E la filmografia non è affatto esaurita.
In compagnia di Frédéric Fonteyne, Alfredo Pea ha presentato a Roma Max et Bobo, primo lungometraggio del regista belga che non ha ancora trovato una distribuzione italiana. Diversa sorte, invece, per La partita diretto da Marleen Gorris, in uscita da venerdì 30 marzo in cinque città per l’Istituto Luce, che lo vede recitare al fianco di John Turturro e Emily Watson.
Come si è trovato a lavorare con Frédéric Fonteyne?
Benissimo. Frédéric, io e Ian (Bobo nel film, ndr) abbiamo fatto prove filmate di recitazione a tavolino per oltre un mese. Una cosa in Italia che non succede mai. Fonteyne pensa più o meno tre versioni di recitazione diverse: una versione più fedele alla sceneggiatura, una meno fedele, e quella che lui chiama scherzosamenterock ‘n roll. Quest’ultima è quella definitiva, una recitazione basata molto su l’ improvvisazione degli attori.
Come è arrivato a recitare la parte di Max nel film di Fonteyne?
Il regista è venuto a Roma per trovare un attore italiano giusto per recitare la parte. E ha scelto di investire su di me. Ho dovuto studiare il francese per due mesi, ma alla fine ci sono riuscito. Oggi, come vede, più che presentare il film traduco le parole di Fonteyne per la stampa.
Come si trova a lavorare fuori dall’Italia?
Croce e delizia. Sono tre anni che lavoro fuori dall’Italia. Da una parte sono stanco di partire per lavorare, dall’altra ci sono costretto. All’estero credono nel lavoro dell’attore, lo considerano quasi una sorta di autore aggiunto. In Italia quando ti scelgono per fare un film è come se ti prendessero in affitto. Questo naturalmente è un concetto che non voglio generalizzare. Ci sono anche dei registi italiani molto seri. Marco Tullio Giordana per esempio.
Lei ha lavorato anche con John Turturro e Emily Watson sul set di La partita – The Luzhin defense, il film tratto dal racconto di Nabokov e diretto da Marleen Gorris, la regista che ha realizzato L’albero di Antonia?
Sì. Il film è in uscita anche in Italia (distribuito dall’Istituto Luce, ndr). La regista mi ha scelto proprio dopo avermi visto recitare in Max et Bobo. Interpreto il ruolo dell’organizzatore della partita.
Qualche distributore italiano comprerà Max et Bobo, secondo lei?
Cosa posso dire? Spero di sì. Il problema della distribuzione è un tema centrale, che non investe solo Max et Bobo, ma tutto il cinema italiano. Quando un film impegna troppo in genere lo si considera meno appetibile per le sale. Si pensa a uno spettatore pigro e poco propenso a “digerire” un conflitto. A torto? A ragione? Questa è la tendenza del mercato italiano.
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