“Un attacco senza precedenti al cuore della nazione”. Suona come una parodia dei comunicati delle Br il proclama di Sonia Norton, icona televisiva di Il siero della vanità, l’opera seconda di Alex Infascelli.
Sonia, interpretata da Francesca Neri, reagisce alla misteriosa scomparsa di noti personaggi dello spettacolo, il comico Rocco Piccolo, la cantante Ester Bonanni, la conduttrice di televendite Azzurra Rispoli. Il suo allarme corre come un virus nei circuiti mediali.
Ad indagare è chiamata la commissaria Lucia Allasco (Margherita Buy), reduce da una convalescenza. La affianca il collega Franco Berardi, volto prestato da un Valerio Mastandrea e nome rubato a Bifo. Dall’inchiesta emerge l’elemento comune tra i vari casi: tutte le vittime sono state narcotizzate con la stessa sostanza e conoscevano Sonia Norton.
Frutto di 1 anno e mezzo di lavoro, prodotto da Rodeo Drive e Rai Cinema, soggetto di Niccolò Ammaniti, musiche di Morgan, effetti visivi di Proxima, girato a Roma in due mesi e mezzo, in location inquietanti come i sotterranei dell’Eur, il film uscirà il 16 aprile distribuito da 01 in 120 copie.
Dopo Carlo Lucarelli, hai scelto una storia di Niccolò Ammaniti per il tuo secondo film…
Ad unirmi a Lucarelli è stato il libro. Poi è nata l’amicizia. Con Ammaniti è andata nel modo opposto. Il primo passo verso la sceneggiatura è stato un briefing intenso di 20 giorni. Abbiamo discusso ogni minimo particolare del film, compresi nomi e volti. Niccolò ha scritto il soggetto, la sceneggiatura è stata affidata ad Antonio Manzini. Io intervenivo a distanza. Prima di arrivare sul set ci sono state 4 stesure.
Come in “Almost Blue” la protagonista è una donna poliziotto. Ci sono altri fili che uniscono i due film?
Almost Blue era un thriller, ora sono passato ad un noir su cui aleggia una grande ironia. Almost Blue era un film mentale costruito su una realtà possibile. Nel Siero della vanità si mettono in scena gli eccessi della realtà stemperati da elementi dark. In questo c’è qualcosa di simile ai film anni Sessanta di Roger Corman.
Al centro de “Il siero della vanità” c’è la pervasività dell’universo televisivo.
Si ma non ci sono pretese sociologiche né intenti polemici. Ho fatto una scelta registica precisa: non fare un film sulla tv, ma un filn nella tv, che cioè non si chiama fuori dall’universo televisivo dichiarando la propria superiorità. Anzi, anche il linguaggio del film deve qualcosa alla tv. Così come deve qualcosa a Quinto potere. Racconta gli effetti della tv su chi la fa. Le singolari metamorfosi fisiche che provoca. Dall’universo televisivo emergono infatti corpi impazziti più che personalità.
Come appaiono i corpi dei tuoi protagonisti?
Tutti appaiono in chiave assolutamente inedita. Ho lavorato su un cinema fatto di travestimenti, di inquadrature che racchiudono corpi interi e pochi primi piani. Agli attori ho dato poche indicazioni prima della lavorazione, ma sul set suggerivo loro di prender spunto da modelli televisivi reali. Ogni personaggio è un ‘Frankeinstein’ costruito con pezzi presi qua e là.
Nel film c’è anche un cameo di Adriana Faranda, dissociata dalle Brigate Rosse dopo l’uccisione di Moro.
Adriana è la madre della mia migliore amica. Le ho chiesto di comparire in un talk show mentre discute con un vice-questore. Invitare in personaggio considerato ‘istituzionalmente pericoloso’ è proprio quello che farebbe la tv.
La colonna sonora è curata da Marco Castoldi, alias Morgan. Che indicazioni gli hai dato?
Abbiamo lavorato a stretto contatto per sei mesi curando l’aspetto del sound design più la semplice colonna sonora. Il siero della vanità è uno dei primi film in cui il sonoro è registrato in 5.1 surround, cioè con 5 canali audio. Oltre alla colonna sonora con i brani, è in uscita anche un cd in edizione limitata: una suite di 45 minuti che integra anche alcuni dialoghi.
Clicca qui per accedere al sito ufficiale de Il siero della vanità.
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