VENEZIA – Il circo e i suoi re, i pagliacci, ma trasformati in freak orrendi, come metafora di un mondo caotico, delirante e crudele. In concorso Balada triste de trompeta, che ripercorre in chiave horror un pezzo di storia di Spagna e sul quotidiano El Pais già si parla di un nuovo Forrest Gump iberico. Ma il protagonista Javier (Carlos Areces), se parte come un eterno bambino, ingenuo pagliaccio triste che ce le prende senza reagire, finisce come una belva infettata dalla violenza della Storia e da un amore infelice, quello per la bellissima acrobata Natalia (Carolina Bang), picchiata dal marito (Antonio De La Torre), anche lui clown, ma non per questo meno innamorata di lui. Però le immagini più impressionanti non sono quelle splatter della favola, ma i filmati di repertorio del franchismo, la costruzione del monumento della Valle de los Caidos e lo spettacolare attentato a Luis Carrero Blanco già raccontato da Gillo Pontecorvo in Ogro. Alex De La Iglesia è un cineasta in qualche modo di culto: ha vinto valanghe di Goya, il suo Oxford Murders è stata la pellicola più vista in Spagna nel 2008 e con Balada triste tenterà la strada degli Oscar.
Considera davvero il suo film il Forrest Gump spagnolo?
E’ una definizione che fa piacere, io lo considero una storia d’amore, d’umore e d’orrore, come la mia vita. Racconto un momento storico che ha determinato il mio carattere, il 1973.
Cosa è accaduto in quell’anno?
E’ stato un incubo, un’allucinazione. Fu l’anno dell’attentato al capo del governo Carrero Blanco, la sua auto saltò in aria e si sollevò per trenta metri. Avevo otto anni e in quel periodo mi nascondevo nella televisione dove c’erano dei pagliacci che ci facevano dimenticare quanto la realtà fosse atroce, ma senza veramente riuscirci. Il ’73 è stato anche l’anno del golpe in Cile e della morte di Allende.
Raccontata in un altro film del concorso, “Post mortem”. Ma le piacciono ancora i pagliacci?
Da sempre mi fanno impazzire, sono un simbolo potentissimo della condizione umana. Il clown non fa ridere per niente, piuttosto fa paura oppure fa pena e non piace neanche ai bambini. Dio è morto, l’uomo è morto, ci resta solo il pagliaccio.
Il film è pieno di citazioni e omaggi cinematografici.
Soprattutto citazioni del cinema del terrore. Il modello è Lon Chaney, in particolare nel film Lo sconosciuto di Tod Browning del 1927, dove un ladro si rifugia in un circo e si innamora di una trapezista desiderata anche da un uomo forzuto. Poi ci sono tantissimi omaggi al cinema spagnolo: Carlos Saura e il grottesco di Rafael Azcona e di Marco Ferreri. E poi Hitchcock, un’icona assoluta che non vorrei neanche nominare.
La guerra civile è una ferita ancora aperta per la Spagna contemporanea?
Non posso parlare per gli altri, ma per me è un passato che non è stato seppellito e i fantasmi riemergono nella testa. La generazione dei nostri genitori e dei nostri nonni ci ha trasmesso questo dolore e nel film mostro come l’ira e il desiderio cieco di vendetta possano portare alla perdizione.
Il presidente della giuria, Quentin Tarantino, potrebbe amare il suo universo visivo sannguinario e grottesco.
E’ un sogno essere qui in concorso insieme a un regista come Darren Aronofsky, che ammmiro moltissimo. Ma è anche un incubo, perché mi sento sotto esame. Tarantino mi piace molto, anche perché i suoi personaggi non pensano alle conseguenze delle proprie azioni.
Come sempre nel suo cinema, i riferimenti religiosi abbondano.
E’ un film molto cattolico che rispecchia il mio modo di essee. Ho studiato dai preti, vesto come un prete e soffro come un prete. Sono dominato da una specie di angoscia religiosa. Credo che nel pagliaccio ci sia un’analogia con la figura del prete e del torero. E in tutti e tre c’è un elemento femminile, basti pensare al rituale della vestizione.
Come le è venuto in mente di far mordere la mano del Caudillo dal suo protagonista?
C’è una famosa foto di Francisco Franco con la mano fasciata per una ferita di caccia, che mi ha un po’ ispirato. Ma nel film Franco non è un personaggio storico reso in modo esatto. Piuttosto mi interessa mostrarlo come un uomo buono e questo lo rende ancor più spaventoso. Come Hitler, quando accarezza i suoi cani in un film di Oliver Hirschbiegel intitolato La caduta sugli ultimi giorni del dittatore.
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