Alessandro Haber


Haberrabbia. Aberrazioni del cinema italiano. Alessandro Haber è ospite del Bordighera Humour Film (questo il sito ufficiale), un festival dedicato al cinema comico, diretto da Mario Rellini. Dove, in una ex chiesa anglicana, Giovanni Veronesi parla di cinema con Teo Mammuccari, Claudia Gerini, Veronica Logan. In giuria (leggi tutti i premi), lui. Haber, veronese errante, cinquantatré anni fra teatro, cinema e canzone. Temperamento inquieto, talento immenso e forse anche un po’ dissipato, nei mille rivoli dei film ai quali ha partecipato. Ma non deve dimostrare niente a nessuno: “a cinquantatré anni, un David di Donatello con Per amore, solo per amore, tre Nastri d’argento per La vera vita di Antonio H., Per amore e Willy Signori, che cosa devo dimostrare ancora? E non ho paura di dirle nulla: altrimenti, se certe cose restano fra amici e non abbiamo il coraggio di dirle pubblicamente, che senso ha?”.

Quali cose, scusi?
Bordighera Humour Film Per esempio il fatto che il cinema italiano è in convalescenza. Che sta rimettendosi in piedi ora. E perché? Perché si è affidato per troppo tempo a comici che dovrebbero fare gli attori, non i registi. A ognuno il suo mestiere…

E’ un gioco in cui siamo stati coinvolti tutti. Anche lei: non ha interpretato “Il ciclone”?
Ma certo: ed era un bel ruolo. A volte ha funzionato. Ma da qui a pensare che ogni attore comico possa essere regista di se stesso… è una follia! Non è colpa loro, ma dei produttori che li hanno incoraggiati. Sordi di regie ne ha fatte solo due, e dopo trent’anni di successi immensi. E questi… E’ come se io domani volessi fare il dentista, e provassi a cavare i denti alle persone: ci rendiamo conto?

Ora, però, è un po’ di tempo che non la si vede sullo schermo…
Sì. Perché sono stato un attore troppo generoso, che non fa calcoli, che si getta anima e corpo anche nelle opere prime. Con quale risultato? Che qualcuno ha pensato: Haber fa di tutto, Haber vale poco. Invece era la passione per il gioco di travestirsi, per giocare con i ruoli e i ritmi del cinema. Ma mi sono fermato. L’ultimo film l’ho girato due anni fa: Giorni dispari di Dominick Tambasco, con Alessia Fugardi e Giulia Weber. Ha vinto un festival, quel film. Ma chi l’ha visto nelle sale? L’hai visto tu? Sì? Beh, siete in pochissimi. Comunque. Mi è mancato il ciak, mi è mancata la macchina da presa, l’odore del set. Adesso ricomincio.

Con che cosa?
Con il nuovo film di Michele Placido su Sibilla Aleramo. La storia di una scrittrice fuori dagli stereotipi, una donna letterata, ma anche ferocemente criticata dal mondo della cultura del suo tempo. Il film dovrebbe chiamarsi Una donna italiana. Gireremo questa estate. Ma visto che niente è sicuro, intanto mi godo il teatro. Faccio un Avaro di Molière che ha cinquant’anni e ha ancora voglia di fare l’amore. Come me. Un personaggio violento e fragile. In un altro spettacolo, canto il tango. Perché il tango è vita, morte, stagioni, malinconia, voglia di riscatto. E il cinema, quando verrà, se verrà, sarà un regalo…

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30 Aprile 2001

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